Abbazia di
San Salvatore di Valdicastro
di Federico Uncini
Valdicastro è il nome di
una valle situata ad oriente del Comune di Fabriano, al confine con
Poggio S. Vicino. E’ circondata dai monti la Croce, Montefiori,
Zuccarello, Maltempo, Cipollata e Moscosi .E’ caratterizzata da uno
stupendo paesaggio naturalistico tipico degli Appennini, ricco di boschi
di castagni, faggi, querce, acque sorgive e verdi pascoli. Il toponimo
"Valdicastro" deriva da "Valle del Castello", chiamata così perché un
antico castello dominava e difendeva gran parte di quest’area. Lo
storico Fortunio nel XVI secolo viveva in questa vallata e attesta di
aver visto i ruderi di tre castelli su tre colli circostanti alla badia,
vale a dire Montemartino, Monferrato e Civitella. Oltre a questi
castelli esistevano nelle vicinanze della valle anche quello d’Anticola
e più tardi fu costruito ad occidente il castello di Porcarella, oggi
ambedue completamente distrutti. Il Montani da un'altra interpretazione
del toponimo; egli attesta che deriva da "Valle di Casta" ovvero "Valle
della donna religiosa" dove vi edificò un monastero di vergini. Il
Castello di Civitella era situato in un'altura ad est
dell'abbazia di S.Salvatore ed aveva una rocca di difesa sulla sommità
dell'odierno monte la Torre. Dal suo nome secondo il Sassi può derivare
da un preesistente insediamento romano. Fu di proprietà del conte
Farolfo d’Orvieto, poi dei conti Rovellone e dell'Abbazia di S.Vittore
delle Chiuse (è citato per la prima volta nel 1104 in una pergamena di
quest’abbazia). Nel 1176 San Vittore lo cedette ai monaci di Valdicastro
(reg. Zonghi perg.60). Nel 1219 Alberico di Matelica inizia le ostilità
con Valdicastro per il dominio della quarta parte del castello di
Civitella e solo nel 1224 rinuncia ai propri diritti.Si rilevò di grande
importanza strategica e fu molto conteso da diversi feudatari compresi i
comuni di Fabriano e San Severino. Sotto la giurisdizione dei monaci
bianchi di Valdicastro ebbe un certo sviluppo edilizio e socio
demografico. Nel 1310 il castello fu ceduto dai monaci al Comune di
Fabriano. Oggi di questa fortezza rimangono pochi ruderi. La posizione
strategica della fortezza dominava completamente la valle, aveva il
pieno controllo dell'area nord, sulla via che collegava Vigne, i
castelli d’Avvoltore (oggi S.Giovanni), Grotte, Castelletta, Precicchie.
Era a vista con il monte Mitola dove esisteva una torre di guardia
collegata in linea d’aria con i castelli di Rovellone, Castelletta e
Serrasecca. Ad ovest Civitella era a vista con il castello di Porcarclla
e controllava la strada proveniente da Fabriano, a sud-ovest era a
guardia delle comunicazioni che collegavano Cerreto attraverso la via
passante sotto la rocca d’Attoni, ad est controllava la strada di
Poggio S.Vicino che saliva per Valdicastro. II castello di
Montemartino situato sull'omonimo monte, di fronte al castello di
Civitella, dominava completamente l'area di tutta la vallata. Non si
conosce la sua origine e la sua decadenza. I ruderi localizzati sulla
sommità del monte lasciano ipotizzare che era di modeste dimensioni e
in un luogo poco difendibile perciò la distruzione potrebbe essere stata
precedente a quella di Civitella. Il castello di Monferrato era
prossimo a Valdicastro. Il suo nome prende origine, secondo il
Sassi.dalla zona ricca di minerali ferrosi.Una ricerca capillare
eseguita sul terreno ha portato all'ipotetica localizzazione del
castello nelle vicinanze di un'altura chiamata "Sasso dei porci". Nel
sito sono stati rinvenuti modesti frammenti di laterizi e qualche pietra
squadrata. Il castello controllava i confini della valle, verso
oriente. Era collegato da una strada che proveniva da Poggio S. Vicino
diretta a Civitella e all’abbazia. Questa via di comunicazione, oggi è
ancora ben visibile e percorribile totalmente. In un tratto di strada
vicino al castello di Monferrato sono ancora esistenti i resti di mura
costruiti a sostegno di quest’importante via di comunicazione. Un altro
elemento che lascia ipotizzare il sito del castello sul luogo sopra
detto è la sua posizione a vista con Civitella, Montemartino e
Anticola, caratteristica strategica dei castelli di allora. Il castello
d’Anticola già distrutto nel 1310 era nelle vicinanze di
Civitella. Probabilmente si trovava nel sito chiamato la "Cascinella",
in direzione sud-est dove fino agli anni '60 erano visibili i resti di
una vecchia fortificazione di modeste dimensioni e una cisterna per la
conservazione dell'acqua. Oggi dopo il rimboschimento eseguito dal
demanio non rimane nulla, solo qualche pietra e laterizio, ultima
testimonianza di questo vecchio castello. Il suo nome, come riporta il
Sassi nello "Stradario storico fabrianese", può derivare dal diminutivo
femminile di "antìcus" (anteriore) nel senso di "posto a mezzogiorno".
Il castello controllava la via che collegava Poggio S. Vicino con Pian
dell'Elmo e proseguiva in direzione di Matelica. Anticola era collegato
con Civitella da una strada diretta verso i piani del monte S. Vicino,
in direzione di Cerreto e Matetica.Il castello di Porcarella
situato ad ovest di Valdicastro è stato costruito dai fabrianesi intorno
al 1300 a guardia dei confini orientali del Comune. Tra la fine del sec.
XIII e l'inizio del XIV alcuni feudi rappresentavano una seria minaccia
per Fabriano, specialmente quando stipularono delle alleanze con Apiro,
S.Severino e Jesi. L'abbazia di Valdicastro in quel periodo aveva un
forte potere nella valle ed esercitava i propri diritti feudali in una
vasta area. Pertanto per garantire la sicurezza dei confini orientali,
Fabriano nel 1251 acquistò dai monaci di Valdicastro una parte di
territorio dove fu edificato il castello di Porcarella di rilevante
posizione strategica.
Dal 1303 al 1318
Porcarella è coinvolta nella lotta per l'eredità dei Rovellone subendo
incendi e saccheggi. A maggior scopo difensivo nel 1326 il castello fu
rinforzato con la costruzione di una cisterna e di un ponte.
L'imponenza del maniero
diede un’importante sviluppo sociale confermato da un incremento della
popolazione. Nel 1451 sono presenti 20 fuochi, nel 1486 28 fuochi, fino
ad arrivare nel XVI secolo a circa 200 abitanti. In ogni modo in questo
secolo inizia il suo declino con la trasformazione della roccaforte in
un povero villaggio appenninico.
Valdicastro
è stato reso celebre da San Romualdo degli Onesti, abate e fondatore dei
Camaldolesi cenobiti-eremiti. Il santo nacque a Ravenna nel 952, a 20
anni lasciò le ricchezze del casato e si fece monaco nel monastero di
Classe. Fu consacrato sacerdote nel 978. Da questa data cominciarono le
sue peregrinazioni fondando monasteri ed eremi per le nuove vocazioni.
Nel 993 fu al Catria e nel 998 divenne abate di Classe; nel 1004 fu a
Biforco sui monti del Faentino. Nel 1005 San Romualdo si reca nella
terra della Marca, nel marchesato di Camerino che allora comprendeva
Fabriano, Visso, Tolentino e Serra S.Quirico. Il Santo portò un forte
spirito di rinnovamento: combatté la simonia, in altre parole il
comprare per denaro le cose spirituali, come un Ordine Sacro, un
Vescovado, un Canonicato ecc.. Questo male era molto radicato, e il
Santo con la sua tenacia riportò frutti salutari che si diffusero anche
fuori del marchesato stesso. Nei secoli X-XI la vita comune dei
canonici era in piena decadenza. Essi dividevano le ricche rendite dei
Capitoli e vivevano a modo loro, alla maniera dei laici. San Romualdo
riunì canonici e chierici in famiglie; essi rinunciarono ad ogni
proprietà lasciando solo al Capitolo il diritto del possedimento.
Sorgeva così una nuova riforma benedettina: quella dei "Canonici
Regolari". Sempre nel 1005 entrò nella diocesi di Camerino, passò
l'Esino nelle vicinanze di Cupramontana,risalì il fiume Esinante ed
attraverso la vecchia via di Poggio S. Vicino per arrivare a
Valdicastro. Allora padrone della valle era un conte di nome Farolfo di
Guido, signore di Montemartino e Civitella, il quale donò al Santo
alcune terre dove fondò un eremo. Per il Montani altri due furono i
donatori: Umboldo marchese di Camerino e duca di Spoleto e Ranieri
marchese di Toscana. Nel luogo esisteva già un piccolo monastero che
serviva da abitazione ad un gruppo di monache chiamate "Conversae". Le
penitenti lasciarono il luogo al Santo e furono collocate altrove. Molte
sono le ipotesi su dove furono trasferite ma nessun documento conferma
il luogo preciso. San Romualdo fondò un eremo nelle vicinanze del
monastero femminile, costituito da diverse capanne di legno(celle),
utilizzate per sé ed i suoi discepoli (Ut ligna ,quibus Romualdi cellae
debebant construi-VR,45). Dove furono collocate quelle prime celle
nessuno non lo ha mai riferito. Da un documento del 1219 (A.C.,IV,259)
appare che nella valle vi era un luogo chiamato "l'Eremo": "aquam, quae
pervadi super heremum" e cita la fortezza di Civitella. Pertanto il
luogo doveva essere nelle vicinanze del castello e probabilmente all’
interno della gola che collegava l'abbazia con Poggio San Vicino.
L'insenatura, molto stretta e poco accessibile, è attraversata da un
piccolo ruscello, è ricca di antri rocciosi adattabili a rifugi ed è
proprio al di sotto della torre di Civitella sulle pareti di uno di
questi antri sono stati trovati alcuni buchi ricavati nelle pareti
rocciose, che servivano alla palificazione delle celle. Inoltre in
prossimità di questi antri esistono delle grotte di cui una, secondo la
tradizione, è indicata come "la grotta di San Romualdo" o degli
"eremiti".
Non sappiamo se l'eremo
fondato da San Romualdo sia durato molti anni o sia stato abbandonato
prima della sua morte. Quando egli ritornò a Valdicastro nel 1011
troverà i monaci contrari a lui e alla vita eremitica e le regole da lui
prescritte erano state dimenticate. L'abate Gregorio lasciato a
Valdicastro dal Santo doveva governare tanto il monastero quanto l’eremo
e doveva fare l'eremita e solo nelle feste si doveva recare al monastero
per dare ai monaci istruzioni e ammonizioni. Invece egli rimase sempre
nel monastero e stava dimenticando la vita eremitica che per San
Romualdo era la cosa principale e preparazione a lei doveva essere la
vita del cenobio. All'eremo e al monastero c'era una sola chiesa in
comune come lo erano il cimitero, l'infermeria, la dispensa e
l'amministrazione domestica. Questo connubio era la base della riforma
Romualdina. Nulla avvalsero le rimostranze del Santo ai nobili del
luogo anzi come ci riporta il Damiani l'abate Gregorio ottenne il
permesso dalle contesse di frantumare i legnami che il santo aveva
preparato per le celle. Fu proprio questo il periodo in cui l'eremo fu
abbandonato dai monaci? S.Romualdo vedendo che l'opera sua a Valdicastro
andava perdendosi e l'ambiente diveniva ostile fuggì verso la Toscana.
Il fallimento della
congregazione di Valdicastro (a. 1011) portò il Santo lungo l'Appennino
umbro- marchigiano ad Albella, a Sitria e in Toscana, dove si fermò,
fondando un eremo a Camaldoli (a.1012).
La località di Albella
era situata alle falde del monte Maggio nel versante umbro, in
località Capodacqua di Gualdo Tadino.
L'eremo di Albella aveva
il nome di S.Pietro e S.Salvatore ed è citato dalle carte di S.Maria
d'Appennino in una bolla d’Adriano IV datata 16 marzo 1156, dove il
papa prende sotto la sua protezione il monastero e i suoi possedimenti,
tra i quali S. Pietro e S. Salvatore "de heremo" abitato da
monaci benedettini.
Un secondo documento del
1302 indica la posizione " eremita Sci
Salvatori et Sci
Petri de aqua albella, que sunt posite in monte madio
..." .
Un accenno a quest'eremo
si trova in un terzo documento di S.Maria d'Appennino del 1308, dove
in una lite è nominata una selva " in costa montis madii"
confinante con il "fossatum romite".
S.Pier Damiani nella
biografia del suo maestro riporta che il Santo partito da Valdicastro si
fermò " non longe ab Appennino monte, in loco
qui dicitur Aqua Bella...."
Dopo la sosta in
quest’eremo , S.Romualdo si recò nell'abbadia di Sitria.
Alcuni storici
asseriscono che S.Pier Damiani si riferiva ad Albella di Valleombrosa
situata nel Casentino, ma la logica delle distanze favorisce l'ipotesi
che lo scrittore indicava l'eremo di monte Maggio. Difatti questo
distava circa venti chilometri da Valdicastro e senz'altro S.Romualdo,
trovandosi in difficoltà, si rifugiò nel vicino eremo d’Albella, forse
proprio da lui fondato.
Perché in quella
situazione precaria il Santo avrebbe percorso trecento chilometri per
arrivare a Valleombrosa, per poi ritornare a Sitria?
Quest'ultima distava
circa venti chilometri da Albella di monte Maggio ed era facilmente
raggiungibile attraverso la Via Flaminia, gola del Corno o tramite la
via di S.Cassiano, Perticano, Isola Fossara.
A favore dell'ipotesi
d’Aquabella di monte Maggio ci vengono incontro anche le Cronache
Gualdesi del XIV secolo che testimoniano la presenza di S.Romualdo nel
territorio di Gualdo Tadino ,sul monte Serrasanta.
Nel XIII secolo sullo
stesso sito d’Albella sorse il cenobio dei S.S. Gervasio e Protasio,
dipendente dall'abbazia di S.Croce d'Avellana, oggi completamente
scomparso.
Tal edificio benedettino,
secondo un rogito del 1499, esisteva ancora alla fine del XV secolo.
Successivamente S.Romualdo sostò sui monti di Cagli, nella valle di
Cantiano sul monte Petrano,nell'abbazia di S.Nicola di Luceoli, a
S.Vicenzo al Furlo ed a Sitria.
Quando egli ritornò a
Valdicastro dove volle morire in una cella solitaria a due chilometri
dall'abbazia, lontano dall'eremo probabilmente non più esistente. Nessun
documento dopo la morte del Santo non ha mai ricordato l'eremo o gli
eremiti di Valdicastro. San Romualdo appena costruito l'eremo ovvero le
celle di legno o capanne per i monaci solitari, fondò nello stesso
periodo il monastero di S.Salvatore probabilmente vicino al piccolo
monastero abitato dalle suore. Da una verifica del terreno circostante
l'abbadia sono stati individuati, in prossimità della gola dove sorgeva
l'eremo, molti resti di pietre squadrate e laterizi d’epoca medievale
che confermano l'esistenza di una costruzione che potrebbe essere
identificata come il sito del monastero delle converse.
La sua opera a
Valdicastro non ebbe un seguito e i suoi monaci gli furono talmente
ostili che lo obbligarono ad andarsene e quando ritornò per chiudere la
sua vita come aveva predetto, preferì ritirarsi in un luogo solitario
poiché l'eremo non seguiva più la regola e forse era già abbandonato. Di
conseguenza anche l'abbazia non rappresentava più la vita monastica da
lui voluta. A circa due chilometri dal monastero, presso il monte
Chiavellino, in un’isolata insenatura, San Romualdo si fece costruire
una cella e secondo la tradizione vi morì il 19 giugno 1027 all'età di
120 anni. Il luogo è detto volgarmente San Biagiolo e nella cella dove
morì il Santo, nel 1732 fu costruita una chiesetta e apposta
un'epigrafe di Roberto Palladino.
All'interno della
chiesetta esisteva un dipinto su tela, raffigurante San Romualdo in
preghiera davanti al Crocefisso, opera firmata e datata 1614 da
Gianfranco Guerrieri di Fossombrone. Fino al 1989 esisteva appesa al
soffitto una tavola di legno dove era scritto con caratteri
settecenteschi: “Ricordati che qui morì San Romualdo”.
L'abbazia di S.Salvatore
di Valdicastro, fondata da San Romualdo, era di stile romanico. Oggi
dell'originale rimane soltanto la cripta coperta con le volte a botte e
due capitelli situati nel chiostro. Il complesso fu ristrutturato nel
1262 per opera dell'architetto Tobaldo. Probabilmente fu la maggior
importanza economica e religiosa assunta in quel periodo dall'abbazia
che portò all'ampliamento dell'intera costruzione e verso la fine del
secolo XIII assume una struttura ben fortificata. Nel 1251 Fabriano
inizia la costruzione del castello di Porcarella che consente la difesa
di tutto il settore nord della viabilità proveniente dall'Esino, da
Apiro e Cingoli. L'abbazia posta più a valle e meno difesa è rafforzata
con opere difensive e assume una forma quadrata, compatta, con pareti
alte fino a 10 metri. Un sistema di difesa e avvistamento era garantito
da due torri; una verso ovest, ancora esistente, era a vista con
Porcarclla e l'altra andata distrutta era rivolta ad est e controllava
le vie provenienti dal monte S.Vicino. L'abbazia fu restaurata negli
anni 1397 e 1444. Nel 1741 fu danneggiata da un terremoto. A causa di
quest’evento il braccio principale della chiesa fu ristrutturato e
ridotto di molti metri. Altri lavori di ristrutturazione furono eseguiti
per volere del marchese Serafini, proprietario dell'abbazia dal 1877. A
testimonianza di questi ultimi interventi fu posta una lapide nel
chiostro con la scritta: "Marchese Serafini restaurò nel 1925". La
chiesa odierna è di stile gotico, ha tre campate, tre absidi e sotto la
navata traversa è posta la cripta. Lungo l'arcata maggiore della chiesa
c'è un bellissimo esemplare d’architettura gotica purtroppo rovinato dal
tempo che porta un'iscrizione datata 1260 a ricordo della sua
ricostruzione. Nelle pareti a sinistra dell'entrata della chiesa si
possono notare gli affreschi attribuiti ad un artista umbro-marchigiano
del XV secolo raffiguranti S.Cristoforo, S.Giovanni Battista e S.
Romualdo con altri santi. L'altare è composto con un sarcofago romano
(sec.III d.C.) che conserva intatta l’ epigrafe: "Aureliae Veroniceni
matri rarissimae quaevixit annis L. Valerius Nicomacus fìlius posuit".
In quest’altare furono custodite le ossa di San Romualdo per circa 400
anni e ciò dette una forte rilevanza religiosa all’abbazia specialmente
nel XIII secolo dovuta alla devozione dei fedeli che si recavano con
pellegrinaggi di massa a venerare le spoglie del Santo.
Dalla nave traversa della
chiesa si accede alla sala capitolare di stile romanico, con la volta a
sei crociere, raccolta su due pilastri poligonali con capitelli lavorati
nel XI-XII secolo. Il 20 dicembre 1480 il sacerdote Taddeo e il
converso Rocco asportarono in un sacco lo scheletro del Santo.
Noleggiata un'asina, caricarono la refurtiva e partirono alla volta di
Cupramontana, prendendo alloggio nel monastero di San Lorenzo. Di qui al
mattino si diressero verso Jesi e si fermano nel rione di San Fiorano
fuori le mura, nell'albergo di un certo Melchiorre. Intanto giungevano
da Valdicastro alcuni monaci che avendo scoperto il furto del corpo e la
repentina partenza dei due li avevano inseguiti fino a Jesi. I ladri
furono raggiunti e il tesoro più prezioso chiuso nell'umile sacco fu
sequestrato. Intervenne il comune di Fabriano per il recupero del corpo
del Santo, si parlò perfino di ricorrere alle armi. Intervene il
cardinale Riario, Legato della Marca che dette ragione ai fabrianesi e
ordinò al vescovo e al comune di Jesi di restituire subito il sacro
corpo sotto gravi pene. Così il 6 febbraio 1481 fu portato presso la
chiesa di San Biagio in Fabriano dove ancora oggi si conservano le
spoglie nella cripta sottostante l'altare.
Dopo alterne vicende
l’eremo di Valdicastro ebbe un notevole livello di floridezza economica
e spirituale ed estese la sua giurisdizione su diversi castelli, ville e
chiese nel territorio fabrianesc. Nel XIII secolo aveva alle proprie
dipendenze il monastero d’Acquapagna in diocesi di Spoleto e 47 chiese
poste nelle diocesi di Fabriano, Gubbio. Perugia, Nocera, Osimo, Fermo,
Senigallia. Nel XIV secolo, le tormentate vicende politiche del comune
di Fabriano, le calamità naturali (terremoti, epidemie), la mancanza di
monaci e l'isolamento stesso dell'abbazia danno inizio alla sua
decadenza. Nel 1394 è trasformata in priorato da Bonifacio IV e
incorporata con tutti i beni a Camaldoli. Nonostante l'incorporamento di
S.Urbano d’Apiro avvenuto nel 1441 non riesce ad invertire il suo
declino. Nel 1427 l'abbazia fu unita al monastero di San Biagio a
Fabriano e nel 1652 con la soppressione innocenziana divenne dipendente
del comune di Fabriano e il cenobio fu ridotto a fattoria.
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Veduta del
complesso
Il chiostro
Finestra
dell'abside
L'abside
della chiesa
La torre
Un ingrsso e
il fossato che
circonda
l'abbazia
La cripta
nella chiesetta
di San Biagiolo
Il corpo di
S.Romualdo nella cripta
della chiesa
di San Biagio a Fabriano
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