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L'eccidio del 1435

cronaca di una rivoluzione fabrianese

 

di Federico Uncini

 

 

Giovedì 26 maggio 1435. Giorno dell’ascensione, alle ore 11 presso la cattedrale di S. Venanzo in Fabriano si è consumata una grande tragedia. Una quindicina di congiurati sono entrati in S. Venanzio dove ser Tommaso Chiavelli con i suoi 13 familiari assistevano la solenne messa nel coro della chiesa. Celebrante la funzione era il cappellano dei priori don Giovannino. In un primo tempo, sopraffatti dall'emozione e forse tardivamente pensosi della sacralità del luogo i congiurati hanno indugiato all’azione. Quando il canto del Credo giunse al passo "et incarnatus est de Spiritu sancto", Giacomo di Nicola, si mosse dal suo posto per chiedere a qualcuno dei compagni il perché dell'indugio, o almeno così racconterà a tragedia avvenuta, per una paritetica distribuzione della responsabilità. Al movimento di Giacomo, inteso dagli altri come l’avvio dell’aggressione, i congiurati si precipitarono ad armi sguainate contro i Chiavelli al grido “viva la libertà a morte i tiranni”. I malfattori sono stati identificati nei nomi di : Evangelista di Galasino Spiritale, Giacomo e Angelo di Nicolò di Ventorino cartaio, Francesco di Franceschino di Tommaso Venturino cartaio, Piero di Andrea di Scarafone cartaio, Salucio di Giovanni di Salucio di Donato, Giovanni di Mancia di Francesco, Guido di ser Lorenzo di Rinaldo, Antonio di ser Gioantinto di Antonio, Tinto di Nicoluccio, Colocio di Antonio di Angioluccio, Giacomo di Marco Batromeo di Faciolo, Giacomo di Nicolino di Urbanuccio, Simone de Nicolò di Antonio di Vagnone,Nagni di Urbano di ser Bentivegna. Alla moltitudine delle grida ci fu una gran confusione, tutti cercavano di fuggire. Nel tumulto l’ufficiale della Guardia Cristofaro da Todi fu ferito gravemente da Giacomo di Nicola. Il primo dei Chiavelli a cadere fu Bulgaro ucciso davanti all’ uscio della sagrestia con il collo completamente sgozzato per mano di Angelo di Nicolò, seguì Battista Chiavelli che giaceva ai piedi del coro con la testa spaccata e le cervella fuori dovuto ad un colpo di scure inferta da Salucio di Giovanni. L’anziano Tommaso Chiavelli, l'unico armato della famiglia, tentò pateticamente di difendersi con una bailarda che aveva a suo lato, colpito alla testa da un colpo di Giacomo fu sopraffatto. Tommaso giaceva morto vicino al leggio del coro. Giacomo commesso l’omicidio di Tommaso ritornò nel corpo di Battista Chiavelli dandogli un calcio per vedere se era morto. Questo si mosse e vedendolo ancora in vita lo prese per un braccio, lo sollevò da terra e lo passò da parte a parte del corpo con un coltello. I fanciulli Rodolfo e Marco Chiavelli al vedere quel frastuono si nascosero sotto l’altare dove don Giovannino officiava la messa. Giudantonio e Alberghetto andarono nella sagrestia rincorsi da Tinto di Nicoluccio ed Evangelista di Galasino Spiritale. Una volta raggiunti li hanno sgozzati. i figli di Battista e Bulgaro e gli altri nipoti non tutti avrebbero trovato la morte in chiesa: alcuni sarebbero stati strappati dal petto delle nutrici avvelenati e sbattuti col cranio contro il muro quando i congiurati assaltarono le case dei Chiavelli.

 

Fabriano, 2 giugno 1435. Ieri mattina, ponti levatoti abbassati per i numerosi cronisti giunti da molte corti italiane e la città è apparsa blindata. Già i segni del cambiamento si vedevano da lontano. Vessilli bianchi e rossi sventolavano sulle torri delle 4 porte sorvegliate da armigeri in assetto di guerra. Rigidi controlli dei portinai su persone e carriaggi carichi di legna e generi di prima necessità. Alla Porta Romana nel Quartiere del Piano, è operante un ufficio per la registrazione degli stranieri i quali, per ragioni di sicurezza, sono ospitati nella vicina locanda dell’Aquila. Agli ospiti hanno consegnato un lasciapassare per tutta la città con il solo obbligo di rientrare dopo il tocco dell’Avemaria. Sconsigliato il contatto con meretrici e ruffiane. Ronde armate di volontari si incontrano ovunque. Sorvegliano le strade e le mura giorno e notte. I segni dei saccheggi e degli incendi sono ancora tutti lì a dimostrare la forza distruttiva di un popolo in rivolta per una giusta causa. Però la gente con lo sconosciuto cronista non parla volentieri di quel tragico giovedì. Le uniche informazioni si hanno dal Trombetto del Comune in improvvisate “Grida e bandi” in “Piazza Alta”. Confermata l’uccisione dei componenti della famiglia Chiavelli durante la messa dell’Ascensione. Al grido “Viva la libertà muoiono i tiranni” un gruppo di congiurati, con le armi nascoste sotto i mantelli, è saltato addosso ai signori Chiavelli disarmati. Dopo breve colluttazione hanno preso il sopravvento. Sono morti tra gli spalti del coro, sotto l’impeto della forza scatenata: Tommaso Chiavelli di anni 70; Bulgaro suo figlio, di anni 36 celibe; Battista figlio di Tommaso di anni 50 sposato con prole; Alberghetto figlio di Guido di Tommaso anni 11; Guidantonio di Battista anni 13. Durante la rivolta, saccheggiate e bruciate le case come quella di messer Giovanni da Gubbio e l’archivio Chiavelli, la gabella, la cancelleria; saccheggiato il cassero del Piano, sequestrati i castellani, e l’ufficiale Cristofaro da Todi con tutta la gendarmeria. Sono state distribuite le armi ai volontari del corpo dell’insurrezione fabrianese. Ieri il Parlamento del popolo nella sua prima storica seduta, ha eletto 6 Priori: 4 in rappresentanza dei Quartieri e due per il contado. I Priori hanno giurato di governare e giudicare secondo le antiche consuetudini di questa città. Il loro primo atto è stato la nomina del Comitato per la difesa e la repressione di atti avversi alla libertà del Comune. Lettere di devozione e rinnovata fedeltà sono state scritte al Papa Eugenio IV e al conte Francesco Sforza signore della Marca Anconetana accampato con le sue truppe in Assisi. Si è saputo che tra le sue milizie c’è Guido Chiavelli con un manipolo di cavalieri fabrianesi. Suo fratello, Nolfo invece s’è rinchiuso nel castello di San Donato di proprietà della famiglia. Per questo motivo, negli ambienti priorali non escludono un attacco dei due sopravvissuti e dei loro alleati. La notizia della caduta della signoria Chiavelli ha fatto il giro d’Italia suscitando stupore e sgomento specialmente nelle corti di Urbino, Venezia, Faenza, Carpi, legate ad essa, da parentele, matrimoni e alleanze politiche.

 

Fabriano, giugno 1435. Un secco comunicato del Comitato di difesa e repressione informa dell’avvenuta esecuzione per avvelenamento con l’arsenico e susseguente strangolamento, di 5 giovani Chiavelli. Ecco i nomi: Gentile di Battista di anni uno, Gismondo di Battista anni 4, Guido anni 10, Ridolfo di Battista anni 11 e Chiavello di Battista anni 15. Il fatto è accaduto sabato 28 maggio ma solo oggi è stato reso noto. La cattura dei tre più grandicelli era avvenuta, grazie a una spiata, il 27 maggio nella chiesa di San Venanzio, nascosti dai Canonici. I più piccini sono stati invece tolti alle balie con la forza. Pare, si dice, che i corpi martoriati dei Chiavelli e di due loro servitori giacciano insepolti in uno scavo nei pressi della suddetta chiesa ora interdetta al popolo. Proseguono intanto le ricerche di altri due fanciulli dei Chiavelli: Galasso di anni 6 e Tommaso di 8. A tal proposito il Comitato, il 14 giugno, ha messo due taglie di ben 500 scudi ciascuna sulle teste dei signori Chiavelli Guido e Nolfo, ancora fuori Fabriano. Il Comitato rivoluzionario ha pubblicato la lista “dei cento” organizzatori della congiura. Di questi, solo 17 erano presenti quel giorno alla messa. Tutti gli altri, dislocati in punti strategici pronti ad infiammare la rivolta. Scorrendo i nomi si possono individuare numerosi appartenenti alle Università delle Arti e dei Mestieri, secolari associazioni di artigiani e professionisti della borghesia. C’è pure il nome di don Giovannino cappellano dei Chiavelli, il medesimo che il 25 maggio celebrava la messa solenne a San Venanzio per quei signori. La partecipazione delle Corporazioni al rovesciamento del regime ha radici lontane. I Chiavelli hanno svilito, umiliato queste organizzazioni democratiche riducendole a semplici organismi di manovalanza. Anni son passati da quando loro comandavano la città. Adesso, il pugnale ha preso il posto della pannella. I loro vecchi morendo, facevano giurare ai figli di combattere per far risorgere la libertà a Fabriano. I morti potranno finalmente riposare in pace.

 

Fabriano, fine giugno 1435. Era nell’aria di questo tiepido scorcio di giugno una contro mossa dei Chiavelli ch’è passata sotto tono la festa di S. Giovanni Battista, patrono della città. I servizi di sicurezza da tempo allertati, hanno evitato altro spargimento di sangue scoprendo appena in tempo, una congiura ai danni della neonata repubblica fabrianese. Da qualche giorno erano sotto stretta sorveglianza alcune persone dei castelli di Nebbiano e San Donato del Quartiere del Borgo, conosciute per la loro amicizia con i Chiavelli. Il piano è scattato e nella rete sono caduti alcuni collaborazionisti. Dopo stringenti interrogatori, hanno reso piena confessione sulle intenzioni di rovesciare il governo popolare. Incessante l’attività dei Priori. Sono stati sottoscritti i patti di alleanza con i castelli del contado sul quale, ed era inevitabile, premono per impossessarsene le città confinanti. Hanno finora aderito alla “lega della montagna” Belvedere, Cacciano, Orsaia, Cancelli, Melano, Marischio, Bastia Moscano, Rocca di mezzo, Almatano, Albacina. I Castelli di Domo e Precicchie dopo un breve periodo di indipendenza, hanno deciso (o sono stati costretti) di mettersi sotto la protezione di Francesco Sforza il quale non passa giorno che non faccia sentire la sua attenzione interessata su Fabriano. Con la scoperta della congiura si fa più critica la posizione delle mogli dei Chiavelli, ora agli arresti domiciliari. Pressioni sono giunte ai Priori da diverse Corti del Nord e dal Gonfaloniere della Chiesa, Francesco Sforza che ha chiesto espressamente la loro liberazione e incolumità. In una lettera di risposta allo Sforza, i Priori hanno assicurato “che le dette donne sono sempre state in luogo sicuro ed accompagnate da buona e fidata compagnia ed è stato provveduto che non mancasse loro nessun genere di cosa e sono state onorate e riverite come è giusto fare e così si farà fino a tanto che la Signoria Vostra lo esigerà”. Un passo distensivo proviene dalla curia vescovile: il 20 giugno il vescovo di Jesi in assenza di quello di Camerino, a Firenze per colloqui con il Papa, ha riconsacrato la chiesa di San Venanzio teatro della tragedia. Molta la partecipazione del popolo. Negli spazzi del coro ci sono ancora macchie di sangue raggrumato. Si sono svolte varie riunioni tra le principali Università delle Arti. I temi dibattuti vanno dal rilancio dei commerci, della carta, ferro, cuoio, lana, alla luce della ritrovata autonomia gestionale; i rapporti diplomatici con le altre città e l’avvio della riforma degli statuti del 1415 non più rispondenti alla nuova realtà. Per la festa del patrono del prossimo anno saranno le Corporazioni a finanziare l’acquisto del pallio. Si sono appresi altri particolari della congiura che è l’arma degli oppressi contro gli oppressori, come in questo caso. Nata a Camerino e coordinata da un certo Messer Arcangelo di Fiordimonte (Chiavelli) da Fabriano, esiliato dai Chiavelli, ha avuto consensi fin dal primo momento. Un segno che il vaso era colmo. Dicono che Fiordimonte avesse per moglie una donna di rara bellezza. Battista Chiavelli il più crudele e il più odiato dal popolo, se ne era invaghito. Fu dura la reazione di Arcangelo e pensò alla vendetta che, ritengono i filosofi, sia una giustizia selvaggia. Divenne quindi consigliere di Gentil Pandolfo dei Varano di Camerino e il sobillatore, al momento giusto, del popolo che trucidò il signore di quella città, Giovanni, fratello carnale del suddetto Gentil Pandolfo, insieme ai nipoti. Prese poi contatto in gran segreto con dei fabrianesi viventi a Macerata. Arrivarono le prime adesioni poi, man mano tutte le altre superando il centinaio, sulla carta.

 

Fabriano, luglio 1435. Un segno di rappacificazione del Comune nei riguardi delle corti italiane e in vista dei colloqui bilaterali con Francesco Sforza, si è avuto con la liberazione delle signore Chiavelli. Ieri 27 luglio, ha varcato la porta del Borgo un mesto corteo tra due ali di popolo silenzioso e ostile. Libere di uscire, donna Tora, vedova di Nicolò Trinci da Foligno, zia e tutrice del piccolo Giulio Cesare di Giovanni dei Varano e sua sorella Guglielma dei Varano, vedova di Battista, accompagnata dalle sette figlie. Le attendevano nei pressi della chiesa di san Cristoforo nella porta del Borgo, emissari dei signori di Faenza, il trombetto di Urbino, il conte Francesco Ottoni di Matelica, in persona e un delegato dell’abate di santa Croce di Sassoferrato. Seguivano le signore, i fanti al soldo della famiglia anche loro liberati. E’ ancora agli arresti domiciliari ma ultimamente nessuno l’ha più veduta donna Bianca da Carpi, moglie di Guido Chiavelli. Finché la situazione politica non si sarà chiarita con la sottomissione dei castelli controllati dalla signoria sconfitta, madonna Bianca resterà in ostaggio…ma fino a quando? E’ arrivato un corriere con una lettera del doge della lontana Venezia, Francesco Foscari. Ha messo in subbuglio il Comune. Egli chiede con decisione la liberazione di Bianca. Allora Fabriano è contro Venezia? Ma a chi conviene? Da quel porto arrivano le materie prime per le industrie fabrianesi e partono risme di carta per l’Oriente. Donna Bianca non riceve visite, la servitù è muta. Qualcuno mormora che è già al sicuro lontano da Fabriano. Nelle segreterie delle Corporazioni non si conferma, non si smentisce la partenza segreta della nobildonna. Ed è subito giallo. Mettere la Repubblica fabrianese sotto la protezione del Gonfaloniere della Chiesa per proteggerla da attacchi esterni è quello che chiederanno i Priori nei colloqui con il conte Sforza. Nessuno qui si nasconde che questa “protezione” avrà un costo elevato. La libertà vigilata però non ha prezzo, dicono. Rinchiuso nel suo castello di San Donato, Messer Nolfo Chiavelli è attesa degli eventi. Il castello è visibile da lontano e domina ampia zona verso Sassoferrato e l’Umbria. A quanto è dato a sapere il Comune non ha alcuna intenzione di mettere la città in stato d’assedio. Qui si pensa alla pace. Adesso occorre riprendere il lavoro nelle gualchiere, nelle botteghe, nelle officine, nelle concerie. Corre voce dell’arresto di alcune persone accusate di aver fatto fuggire i due figli di Guido e di Bianca da Carpi. Galasso e Tommaso Chiavelli erano ricercati da oltre due mesi. La famiglia di Guido è sfuggita alla giustizia. Fioccano le polemiche tra le segreterie delle Corporazioni.

 

Fabriano, agosto 1435. Fallito colpo di mano dei Chiavelli. C’è un clima di piombo in questa torrida estate. Le attività dei cartari e dei fabbri sono quasi paralizzate per scarsità d’acqua nel “vallato cupo” come qui chiamano quest’opera idraulica costruita dal passato regime chiavellesco. E forte è l’odore penetrante delle pelli e dei corami nella contrada dei conciatori. E’ fallito per pura fortuna un colpo di mano (il secondo) dei soliti Guido e Nolfo per rientrare in possesso della città. La paura è tornata, le strade sono piene di volontari armati. Interrotte le comunicazioni. Sabato 13 agosto 1435 di prima mattina, Guido e Nolfo con la complicità di un certo Giacomo da Gubbio, doveva entrare con uno stratagemma dalla parte del Borgo di San Nicolò. Nottetempo s’erano avvicinati alle mura ben 400 armati e nascosti in mezzo a una vigna del suddetto Giacomo, vicino al monastero di san Marco, sulla strada per Sassoferrato. L’eugubino col pretesto di offrire del pesce cotto ai portinai doveva invece rinchiuderli per poter spalancare la porta agli invasori. Ma le cose non sono andate come lui pensava perché, nel frattempo, al Comitato di sicurezza, era giunta la notizia che i Chiavelli avevano attaccato il castello di Belvedere. Temendo i fabrianesi una mossa diversiva per far uscire le truppe e sguarnire così le difese, fecero suonare “a rumore” il campanone. Popolo in armi. Gran confusione per le strade, tutti correvano sugli spalti. I cronisti invitati a non uscire dalla locanda. Gli assalitori, sentono quel suono concitato, pensano al segnale di Giacomo, muovono la truppa. La fortuna guida dentro il porto anche la nave senza pilota. Stava rientrando un po’ agitato un certo Zanni della Brunetta quando per caso ha avvistato i soldati venire avanti. Allora si è messo a correre urlando a squarciagola “Oh, ecco i nemici, oh ecco i nemici…” Alzato appena in tempo il ponte levatoio, fu vano il tentativo del figlio di Trubbiano da San Donato di trattenere la catena ed è caduto nell’acqua del fossato. La città era salva. Gli assalitori dopo un attimo di smarrimento e con l’inevitabile scambio di invettive e di gesti sconci tra le opposte fazioni, si sono ritirati dalla parte di San Donato e nessuno l’ha inseguiti. In serata si sono avuti numerosi arresti di sospettati. Anche per la fuga di Galasso e Tommaso Chiavelli avvenuta il 13 giugno, sono stati eseguiti numerosi arresti e perquisizioni. Si è saputo che i fanciulli sono stati calati nottetempo con funi dalle mura, nei pressi del ponte di Sant’Agostino o delle Cannelle. Nascosti casa per casa da amici fidati, hanno poi avuto la complicità di due frati agostiniani ora attivamente ricercati. Sul fronte delle trattative diplomatiche con lo Sforza c’è l’invio di una supplica dei Priori affinché la nomina del Podestà rimanga prerogativa degli stessi con la promessa di eleggere persone gradite allo Sforza. Nei colloqui di luglio erano giunti faticosamente ad un accordo per il mantenimento di tutte le libertà istituzionali esistenti, riconosciute nei secoli da Imperatori e Papi. E’ atteso in città il luogotenente del Conte Sforza, un certo Francesco Salimbeni da Siena. Avrà il compito di riscuotere ogni 4 mesi il tributo di Fabriano allo Sforza. La somma non è ancora conosciuta, si prevede altissima, oltre ogni previsione. Sopporterà l’esosa gabella l’economia di Fabriano? Qui già molti si domandano sottovoce:” Ma allora, questa, è vera libertà?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Cattedrale di San Venanzio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il coro dove avvenne l'eccidio

(ora nella chiesa di San Benedetto)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'accesso al Chiostro e alla Sagrestia


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