I Peribèrti di Fabriano
di Euro Puletti
Un’antica, nobile, ed ora estinta, famiglia di Fabriano,
di lontana origine parmense, fu quella dei Peribèrti. La
parabola ascendente della schiatta dei Peribèrti comincia
a delinearsi a Parma, emergendo, forse, dalle nebbie dell’Alto Medioevo.
In quell’epoca, il territorio fabrianese era sotto la giurisdizione del
Ducato langobardo di Spoleto, e vi furono molti Langobardi che presero
ad insediarsi stabilmente, con funzioni di controllo e comando
politico-militare, nell’area dell’attuale comune di Fabriano. Basta
scorrere i più antichi documenti in nostro possesso, come le Carte
dell’Abbazia Benedettina di Santa Maria d’Apennino, per restarne
convinti. La presenza dei Langobardi nel Fabrianese è, infatti, più
volte documentata, nel corso dei secoli XI e XII. Eccone solo tre
esempi, desunti da altrettanti documenti dell’Abbazia Benedettina di
Santa Maria d’Apennino: nell’anno 1048, «Transberto ex natione
longobardorum» dona una terra «in fundo monte apenino». Nel 1080, «la
longobarda Biligarda, vedova di Cuzio, dà al Monastero di S. Maria
d’Appennino una terra situata “in loco qui dicitur fosato”». Nel 1111,
«Venerio secundum longobarda lege […] vende una terra “in ducato
camerino et in loco qui dicitur in campudeculi”».
Il cognome Peribèrti, poi, è di pressoché
certa origine langobarda, essendo costituito dagli elementi di
composizione nominale *beran-, ‘Orso’ (da cui Peri-)
e *berhta-, ‘splendente, illustre, famoso’ (da cui
-bèrti). Il significato complessivo, desumibile dall’analisi delle
componenti essenziali del cognome, potrebbe allora essere quello di
‘Orso illustre’, ‘Orso valoroso’. A corroborare quest’ipotesi, elaborata
sul solo piano linguistico, vi è, altresì, il fatto che sul blasone dei
conti Peribèrti campeggia un Orso (molti studiosi, come
Graziosi, volevano che l’animale altro non fosse che «[…] una scimmia
rampante al naturale in atto di salire»),
raffigurato nel tentativo di arrampicarsi su di un albero, che, a tutta
prima, parrebbe, in tutto e per tutto, “una quercia”. Sollevato su una
delle zampe posteriori, l’animale poggia i restanti tre arti sul tronco
del citato albero.
L’Orso era considerato dai popoli germanici come una
sorta d’animale totemico, secondo, forse, solo al Lupo. Essi lo
sublimarono a simbolo di fortezza e costanza ed improntarono al suo nome
tanti dei loro nomi propri personali (Berengario, Bernaldo,
Bernardo, Berno, Bernolfo,
ecc.).
Nel Medioevo, l’Orso bruno (Ursus arctos) doveva
certo essere presente sul Massiccio del Monte Cucco ed in gran parte dei
rilievi montuosi del Fabrianese, e, forse, persino abbondante, come
testimoniano alcune attestazioni toponimiche, quali: L’Orsara,
Val de l’Orso, Grotti l’Orso, La Grotta de l’Orso.
Da *beran-, ‘Orso’, o da una sua ipotetica forma ridotta
*ber-, discende, ad esempio, con buona probabilità, la
locuzione toponimica Balza Berlingàna (F.116 II S.O.
“Costacciaro”, lat. 43°23’38”N, long. 0°16’6”E), attribuita ad
un’acuminata cresta rocciosa, sorgente su di una pendice meridionale del
Monte Ranco Giovannello,
al confine tra i comuni di Scheggia e Costacciaro. Nella porzione
d’Appennino, fatta oggetto del presente articolo, l’Orso è estinto da
alcuni secoli. Lo ricordano solo i citati zootoponimi, qualche reperto
osteologico ed una precisa ed attendibile notizia
archivistico-bibliografica. Infatti, come si apprende da un’opera dello
storico Alessandro Alfieri,
uno degli ultimi orsi bruni (Ursus arctos)
che sia verisimilmente vissuto nell’attuale area del Parco Naturale
Regionale del Monte Cucco (Umbria, PG) fu ucciso, tra il XIII e il XIV
secolo, da cacciatori perugini, in un luogo imprecisato, ricompreso nel
tratto di montagna che sovrasta i comuni di Fossato di Vico e Sigillo.
Nel documento si parla anche, e dettagliatamente, delle grandi
dimensioni del plantigrado, che misurava una lunghezza di ben due metri
e mezzo circa, dimensione massima raggiungibile dalla specie. Ecco il
resoconto di tale antica battuta: «Fu fatta una caccia nelle montagne
di Fossato e di Sigillo e ci fu ammazzato un orso, e fu misurata la sua
schiena e fu otto piedi longa». È, tuttavia, assai probabile che sul
Monte Cucco, e sulle montagne fabrianesi, l’Orso sia sopravvissuto
almeno fino al Rinascimento, poiché il Cucco rappresentava, allora, una
riserva di caccia dei duchi d’Urbino.
8-X-1999
Cfr.
Luigi Galassi,
In margine al III Convegno di Studi sul Medioevo
umbro-marchigiano,
in “Medioevo
umbro-marchigiano. La presenza dei Longobardi nell’Italia centrale”,
«Atti del Convegno di Studi», Fabriano 19-20 novembre 1994,
Istituto Internazionale di Studi Piceni, Sassoferrato 1996, pp.
79-80.
Bernolfo vuol dire ‘Orso-Lupo’.
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