di
Gaia Germoni
L’avvento
napoleonico in Italia
L’esercito, negli anni della rivoluzione francese, era diventato un
importantissimo strumento di mobilità sociale. Tra i suoi componenti
di spicco fu la figura di Napoleone Bonaparte che, dopo la morte di
Robespierre, si distinse nella soppressione dei moti
controrivoluzionari.
Bonaparte organizzò poi un colpo di stato insieme ad esponenti delle
correnti moderate, con l’intento di salvaguardare i risultati ottenuti
dalla rivoluzione francese minacciati dalle correnti più radicali sia
di destra che di sinistra.
Fu col pretesto di sventare una congiura giacobina che Napoleone
prevalse sul consiglio degli anziani e sul consiglio dei cinquecento.
Nel 1799 prese il potere alla guida della Francia insieme a Sieyès e
Ducos. Nello stesso 1799 entrò in vigore la nuova costituzione. Il
potere venne concentrato esclusivamente nelle mani del console, lo
stesso Napoleone, e le due assemblee legislative che vennero istituite
in quel periodo non ebbero un effettivo potere di proporre leggi. Si
ebbe dunque un processo di centralizzazione statale con lo scopo di
tutelare le conquiste della rivoluzione francese, soprattutto a
livello economico e giuridico. Napoleone ebbe un successo enorme tra
il popolo francese poiché intenzionato ad assicurare un periodo di
pace, cosa fortemente desiderata da tutti dopo il caos della
rivoluzione.
Bonaparte già nel 1796 era stato proclamato comandante in capo
d’armata d’Italia. Nel 1797 la campagna d’Italia portò Napoleone alla
conquista di Milano e Venezia. Venne poi stipulato con l’Austria il
Trattato di Campoformio (1797), con cui l’Austria riconosceva la
Repubblica Cisalpina fondata da Napoleone. Quando l’esercito
Napoleonico scese in Italia si ebbe la caduta dei vecchi governi. Al
loro posto vennero fondate delle repubbliche, tra cui la Cisalpina e
quella Romana, di cui Fabriano faceva parte. Le truppe francesi
entrarono a Roma nel gennaio 1798, imprigionando papa Pio VI. Questa
situazione si protrasse però per poco: infatti i Francesi, nell’aprile
del 1799, vennero sconfitti dall’esercito austro-russo, abbandonarono
l’Italia e caddero le repubbliche fondate da Napoleone. La presenza
napoleonica in Italia non terminò tuttavia qui. Napoleone infatti nel
1800 ridiscese in Italia e, sconfitti gli Austriaci a Marengo, nel
1803 fondò la Repubblica Italiana.
L’Italia venne stravolta profondamente dall’avvento napoleonico, in
quanto vide cambiare la propria conformazione territoriale ed
istituzionale; prima dell’arrivo di Napoleone l’Italia era infatti un
territorio frammentato controllato dall’Austria. Tuttavia va
considerato che gli italiani valutarono in modo diverso questi
avvenimenti, vedendoli inizialmente dal punto di vista ideologico e
poi constatandone le drammatiche conseguenze materiali.
Secondo Indro Montanelli“L’influsso che la rivoluzione francese
esercitò sull’Italia fu dapprima ideologico e limitato a quella
pattuglia di intellettuali che erano gli unici in grado di intenderne
i motivi”,infatti,
per quanto scarsi ed isolati, i circoli di ispirazione giacobina a
Roma erano in fermento intorno agli emissari di Parigi, tra cui il
fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte.
“Ma dal ’96 in poi le idee si presentarono sotto forma di Baionette
che misero a soqquadro l’assetto politico della penisola ribaltandone
il vecchio equilibrio e lasciandovi, anche dopo il loro ritiro,quei
fermenti che di lì a poco avrebbero dato avvio ai moti risorgimentali”.
La spinta napoleonica è stata infatti violenta e non ha raggiunto per
i mezzi utilizzati, gli obbiettivi che i post-rivoluzionari francesi
si erano prefissi, salvaguardando e diffondendo le conquiste della
rivoluzione francese, ma ha sicuramente costituito una base importante
per gli avvenimenti storici di metà ‘800.
Fabriano
prima del dominio francese
Ricordiamo innanzitutto l’appartenenza della città di Fabriano allo
Stato Pontificio, fattore che influenzerà molto la reazione del popolo
nei confronti dei dominatori francesi.
L’elemento caratterizzante la condizione fabrianese negli anni
precedenti l’avvento francese è una profonda crisi economica della
città. Crisi che indebolì fortemente il popolo rendendolo acile preda
di nemici ed invasori. Fabriano stava attraversando un periodo di
profonda decadenza: l’industria della carta, che aveva reso noto il
nome della città in tutta Italia, era in declino. Basti pensare che le
fabbriche da 27 nel 1711 si erano ridotte a 8 nel 1777 e vennero poi
ulteriormente diminuite a 2 dal 1778 al 1783. Inoltre il decreto di
Clemente XI del 1703, che toglieva il compito alla città di rifornire
l’esercito pontificio delle divise militari, aveva portato ad una
inevitabile rovina delle concerie.
Per risolvere la situazione e risanare le finanze vennero tassati i
luoghi pii, anche se ciò non fu apprezzato dalla chiesa, poiché
mostrava troppo apertamente la condizione di benessere del clero
rispetto alla povertà del resto della popolazione.
Le cause che hanno portato Fabriano, come tante altre città
pontificie, alla decadenza , vanno ricercate nell’invasione spagnola,
nei dazi sempre più alti e nella concorrenza con città più ricche e
fiorenti. Bisogna poi considerare che lo statuto pontificio lasciava
il più delle volte nel completo abbandono i comuni, i quali da soli si
trovavano a dover risolvere grossi problemi.
In una situazione di questo genere è facile comprendere come fosse la
popolazione fabrianese: povera, ignorante, analfabeta, superstiziosa .
Una popolazione ingenua e facile preda di coloro che, negli anni a
seguire, combatteranno per il predominio sulla città.
Durante il V anno repubblicano, il 1797, Napoleone, dopo essersi
impadronito di Pesaro e Ancona, marciò verso Macerata e Tolentino. Per
contrastare l’avanzata francese il 9 febbraio 1797 venne stipulato
il trattato di Tolentino, con il quale papa Pio VI rinunciò ad
Avignone e alle legazioni di Romagna permettendo ai francesi di
restare ad Ancona. Pagò inoltre, per fermare i nemici, una forte
indennità di guerra. Tuttavia i francesi poco dopo sciolsero l’
accordo approfittando della scomparsa del loro generale Duphot,
diffondendo false accuse sulla sua morte. Con lo scioglimento del
trattato fu inevitabile una dichiarazione di guerra da parte francese
contro il pontefice. Nell’anno 1798 i francesi invasero Umbria e
Marche, proclamandovi la Repubblica Romana. Le Marche vennero allora
suddivise in tre dipartimenti: quello del Metauro, quello del Tronto e
quello del Musone, con centro a Macerata e di cui Fabriano faceva
parte. Le truppe papali accorsero dunque a Fabriano nel 1797 guidate
dal capitano Lomi e dal tenete Cantalamessa per fuggire ai francesi
che avevano già occupato Senigallia, Urbino, Fano e Pesaro
.
Intanto Fabriano, dove si erano già diffusi ideali repubblicani,
insorse. Non fu infatti difficile per i repubblicani far colpo
sulla popolazione, ingenua ed ignorante, che vedeva gli invasori come
una sorta di salvatori che avrebbero potuto cambiare la situazione di
declino che Fabriano stava vivendo. L’invasione della città era ormai
prossima: i magistrati decisero allora di non opporre resistenza ma di
mostrare ai francesi la propria gratitudine, visto che l’occupazione
era ormai generale .Sin da subito vi furono moltissimi attentati agli
ordini monastici. Il presidente della municipalità di Jesi, il
Fioretti, impose la confisca dei poderi delle monache di Santa Lucia e
dei Frati di San Biagio. Tuttavia Fabriano, ancora fortemente legata
al pontefice, non obbedì a tali comandi. Questo provocò l’ira dei
francesi, che inevitabilmente imposero alla città di destituire il
vecchio governo e instaurare la Municipalità.
Intanto la popolazione fabrianese era combattuta tra ideali nuovi e
pieni di speranza e il vecchio governo pontificio, nel rispetto di una
religiosità molto forte a cui tutta la popolazione era ancorata. A
Fabriano il sentimento religioso era infatti un elemento di primo
piano nella vita di tutti i cittadini, e la vita spirituale era
regolata da veri e propri ordinamenti che indicavano alla popolazione
le cerimonie liturgiche a cui si doveva partecipare. Un esempio di
questo si ha negli obblighi religiosi, illustrati attraverso una
minuziosa suddivisione per mesi dell’anno liturgico, presenti nella
“Tabella degli obblighi, voti, devozioni, elemosine, ed altro, che
deve soddisfarsi dall’illustrissima comunità di Fabriano”.
Fig.1:tabella
degli obblighi religiosi dei cittadini fabrianesi durante l’anno
liturgico
Le quattro
municipalità
Il dominio francese a Fabriano fu un dominio instabile, continuamente
soggetto a mutamenti e a contrattacchi dalla parte guelfa della città.
Questo è testimoniato dal susseguirsi, in due anni, di quattro
municipalità e dal continuo abbattimento degli alberi della libertà
voluti dai francesi, che raggiunsero il numero di sei.
Venne quindi convocato un consiglio di sessanta membri, i quali
formarono il nuovo governo. Non vi sarebbe stato problema se non per
il fatto che i membri appena eletti appartenessero alla vecchia classe
dominante, ostile quindi ai repubblicani. Fu eletto primo presidente
del Consiglio Generale il Vallemani, ma i contrasti tra vecchia e
nuova forza furono talmente forti che quando egli si dimise, non fu
affatto facile trovare un sostituto. La prima municipalità fu dunque
di tendenze moderate e quindi ostile agli eccessi dei repubblicani.
Questo è dimostrato dal fatto che venne diffuso un manifesto alla
cittadinanza nel quale non si trovava alcuna traccia dei nuovi
principi repubblicani, erano invece elogiati il rispetto della
religione, della legge e della tranquillità della vita. L’ostilità del
nuovo governo verso i francesi si fece sentire anche nel momento
dell’innalzamento dell’albero della libertà ,che venne eretto con
molto ritardo rispetto alle altre città. La stessa formazione di una
Guardia Nazionale venne ritardata. A questi problemi si dovette dunque
provvedere in modo serio. A tale scopo il 12 aprile il presidente di
Macerata, Lauri, inviò a Fabriano una bandiera francese che venne
subito esposta nel balcone del Comune. Venne poi innalzato l’albero
della libertà in piazza Alta e si impose la coccarda romana, simboli
del dominio francese e degli ideali repubblicani.
Il popolo fabrianese intanto subiva passivamente il nuovo dominio,
mentre i francesi depredavano i centri di culto tanto cari ad una
popolazione di fedeli.Vennero infatti requisiti i beni delle chiese,
anche se i municipalisti, per fare in modo che questo ordine non
venisse eseguito, corruppero coloro che erano stati mandati per tale
scopo. Questa offerta venne però rifiutata, e chiese e monasteri
vennero privati dei loro beni. Elemento caratterizzante questo primo
periodo fu dunque la forte ostilità verso i francesi opposta dalla
vecchia classe dominante e dalla parte guelfa della città. A causa di
queste ostilità preti e frati forestieri vennero espulsi dalla città,
su comando dei francesi e delle autorità centrali. Inoltre i Francesi
imposero ai ricchi un prestito forzoso e richiesero bestiame, argenti,
grano ed altri beni, aggravando così la già difficile situazione
economica della città, con conseguenze dirette sulla stessa
popolazione che sperava nei repubblicani.
Inoltre a questa situazione si aggiunse il pericolo di disgregare
l’unità del comune, nato in seguito alla volontà di distaccarsi da
Fabriano dei castelli più vicini (Albacina, Cerreto, Collamato..), i
quali aspiravano ad una nuova unione con altri comuni. Queste
difficoltà vennero subito sfruttate dai rivoluzionari per un
cambiamento del governo, ancora troppo ancorato ai vecchi ideali e ai
vecchi interessi per poter soddisfare le aspettative dei francesi. La
municipalità venne colpevolizzata di aver causato il distacco dei
castelli, che si sarebbero sentiti esclusi dal governo del comune.
Tale accusa si concretizzò ancora meglio attraverso il ricorso di
quarantaquattro cittadini contro la municipalità: accusarono il
governo di aver escluso dall’esercizio del suo potere i rappresentanti
del popolo.
Il popolo dunque, oltre ad essere diviso tra il vecchio governo, che
avrebbe difeso il culto religioso a cui era legato, e il nuovo potere
repubblicano, era al tempo stesso adirato contro una municipalità
instabile che non aveva lasciato spazio ad una sua rappresentanza.
Il Consiglio Generale era infatti composto da ex nobili che avevano
sempre avuto influenza sull’estinto governo aristocratico. Il popolo
chiedeva che venisse scelto come nuovo presidente Oliviero Ronca e che
nella nuova municipalità venissero rappresentati anche artigiani ed
altri cittadini. Per contrastare l’azione del Ronca la municipalità
mandò a Roma un memoriale spietato contro di lui. Il tentativo però
di contrastarlo fu inutile e il 5 maggio venne eletta la nuova
municipalità presieduta, appunto, da Oliviero Ronca.
Ecco
dunque che il popolo si sentì nuovamente preso in considerazione,
ignaro però che sia i rivoluzionari sia il vecchio ceto, perseguivano
soltanto fini personali utilizzando il popolo per avere consensi.
Anche questa volta però i membri eletti appartenevano quasi tutti alle
37 famiglie più antiche e ricche del comune e anche questa volta vi
furono continui dissidi tra i membri del comune che si ripercossero
sul popolo creando un opprimente clima di tensione.
La città e le sue frazioni furono preda di furti e risse. Intanto
coloro che erano rimasti fedeli al vecchio governo provvidero ad
influenzare i deboli animi del popolo, che stava amaramente
constatando che le sue speranze erano soltanto illusioni. Dunque
facilmente nacquero disordini e sommosse contro gli stessi francesi.
Alcuni si tolsero la coccarda romana con segno di disprezzo e fu
inoltre abbattuto l’albero della libertà.
I francesi ristabilirono però l’ordine, i cittadini vennero convocati
a rispetto della legge e l’albero della libertà venne ricollocato
nella piazza centrale . A causa di questi disordini il potere
francese si fece più autoritario e severo. Un esempio di ciò si
riscontra nell’arrivo a Fabriano del prefetto Romualdi, il quale
ordinò ai capi della religione di togliere da tutte le chiese gli
stemmi e le lapidi. Inoltre i francesi, come per punire il tradimento
fatto dal popolo fabrianese , disturbarono in tutti i modi la
processione di San Giovanni Battista, patrono della città. Gli
ufficiali a cavallo si mescolarono ai religiosi ed insieme ai soldati
dileggiavano il rito con grande scandalo di tutta la popolazione.
Inoltre in tutto il biennio francese le processioni tanto care al
popolo non vennero più organizzate con la maestosità che avevano
prima. Questo è evidente attraverso la consultazione dei documenti
relativi al culto nella città. I manoscritti contenenti le
disposizioni per la decorazione delle processioni religiose subiscono
una interruzione proprio per quanto riguarda gli anni 1798-99, e da
ciò si può dedurre l’imposizione francese al ridimensionamento del
culto religioso
.
A causa di questi disordini intervenne nuovamente il prefetto
Romualdi, installò a Fabriano una nuova municipalità composta, questa
volta, da elementi più rosseggianti e presieduta da Romualdo Ronca.
Nel frattempo però la municipalità dimessa si era appellata al
Ministero dell’interno, che ordinò subito al Prefetto Consolare di
Matelica, Filippo De Santis, di ripristinare il potere.
In questo periodo dunque i francesi , visti i precedenti disordini,
controllarono Fabriano in modo austero, tant’è vero che le porte della
città erano così rigorosamente vigilate che se si voleva fare una
passeggiata a cavallo, anche di pochi chilometri, bisognava essere
muniti di passaporto.
A questa fase successe poi un periodo in cui la popolazione si schierò
nettamente dalla parte del vecchio potere. Il Re di Napoli Ferdinando
IV, con l’intento di cacciare i francesi, aveva organizzato un
esercito che si scontrò con le truppe napoleoniche presso Fermo,
uscendone però sconfitto. Giunse quindi da Macerata l’ordine di
festeggiare la disfatta dell’esercito napoletano.
Ma continui proclami giungevano non solo da Macertata ma anche da
Roma, intimando e spingendo sempre più la popolazione in uno stato
confusionale. Infatti mentre Roma incitava il popolo alla lotta contro
i francesi, i repubblicani continuavano senza tregua ad esercitare la
loro autorità, sopprimendo ogni tentativo di rivolta. Inoltre giunse
l’ordine da Macerata di togliere dalle chiese alcune immagini sacre e
le vie della città cambiarono le loro vecchie denominazioni con altre
di stampo repubblicano. Gli abitanti della città erano intanto sempre
più spaventati dagli scempi dei francesi e molti cittadini preferirono
abbandonare le loro case per andare a vivere nella più tranquilla
campagna.
Inoltre i fabrianesi furono vittime di un rincaro dei prezzi: il
comune aveva infatti bisogno di soldi e per ridurre il più possibile
le spese vennero aboliti gli stipendi di maestri e medici e, di
conseguenza coloro che volevano usufruire di questi servizi dovevano
provvedere personalmente al pagamento, e ciò , nella difficile
situazione economica precedentemente ricordata, era molto difficile.
Inoltre, per aumentare la solennità delle feste repubblicane, fu
ordinato ai contadini di Santa Maria del Campo di trasportare con i
loro carri un bellissimo cipresso in piazza Alta per farvi un sontuoso
albero della libertà. L’albero della libertà avrebbe avuto un
basamento fatto con i marmi dell’Altare Maggiore di San Biagio e
sarebbe stato ornato con i fregi della facciata di San Benedetto.
Molti fra le stesse autorità furono contrari a questo, ma il
comandante Corradini si impose su tutti facendo innalzare l’albero. Il
13 febbraio 1799 circa 300 cittadini ordirono una congiura per
uccidere Corradini, ma il piano fallì e il comandante francese
continuò a perpetuare un’inaudita violenza contro i ribelli. Il
popolo non fermò comunque la protesta contro Corradini, chiedendo alla
sede di Macerata l’apertura di un’inchiesta. Poco dopo Paolo Spadoni,
uno degli amministratori della centrale, giunse a Fabriano, e
riconobbe Corradini colpevole di alcuni incresciosi fatti avvenuti
nella città .
Venne poi ordinata la dimissione della municipalità e ne venne
nominata una nuova, presieduta da Pietro Miliani.
Ma oramai tanto era il rancore da parte sia del popolo sia degli
esponenti della parte guelfa nei confronti di un dominio oppressivo e
violento che, mentre i francesi continuavano le loro azioni di
controllo della città, gli oppositori dei repubblicani iniziarono ad
organizzarsi occultamente per realizzare la caduta della repubblica.
Nello stesso 1799 venne emanata dal Capo dell’armata francese a Roma
la Carta Costituzionale. Questo avvenimento non venne compreso dal
popolo, il quale oramai aveva nuovamente dato il proprio appoggio alla
vecchia classe dominante. Per comprendere meglio il clima di questo
periodo è interessante la riflessione fatta da Onofrio Angelelli nella
sua storia del periodo napoleonico a Fabriano dal titolo “Fabriano e
il dominio francese nel 1798-99”: a suo parere “La nuova costituzione
arrivò tra il popolo come un’immensa lampada sfolgorante di luce, di
cui non poteva immediatamente sostenere la vista per l’abbaglio
prodotto, e comprendere subito la grande importanza civile e sociale.
Non deve sorprendere quindi se il popolo si piegava verso gli antichi
dominatori, sostenitori interessati di un passato obbrobrioso , i
quali con tutti i mezzi cercavano di utilizzare l’ignoranza e la
superstizione del popolo, onde rinsaldare le catene della schiavitù ed
abbattere la rivoluzione”.
I Guelfi intanto insorsero. La loro truppa, dopo aver occupato
Camerino, si diresse verso Fabriano. L’albero della libertà venne
abbattuto sotto le grida di “Viva il Papa, Viva l’Imperatore!”. I
Generali De La Hoz e Cellini dichiararono restaurato il governo
monarchico nel nome di re Ferdinando IV di Napoli. Vennero
organizzate truppe per la liberazione di altri centri, tra cui Gubbio
e Jesi e molti giacobini vennero arrestati e processati.
La resistenza francese non si fece tuttavia attendere e giunse la
notizia a Fabriano che il generale Monier si apprestava a giungere
nella città con 1500 uomini al suo seguito.
Ed è proprio nella reazione a tale notizia che si vide fino a qual
punto il popolo fabrianese fosse debole, solo e dimenticato sia dalle
vecchie che dalle nuove autorità. Infatti appena giunse la notizia
della reazione francese, gli insorgenti delle contrade vicine si
dileguarono e i fabrianesi rimasero ,da soli, a difendere la città.
Gli stessi nobili e guelfi scapparono e il popolo fu abbandonato a se
stesso.
I francesi si organizzarono dividendosi in tre colonne: una verso
Campodiegoli per riuscire a Marischio. Un’altra verso Valleremita per
conquistare San Silvestro, i Monticelli e Collepaganello. Un’altra
ancora verso Cancelli. Fabriano era stretta in mezzo a tre fuochi.
I fabrianesi difesero la loro terra come dei veri eroi anche se per un
attimo pensarono, scarseggiando le munizioni e essendo deboli gli
aiuti, di ritirarsi verso le campagne. Tuttavia decisero di rimanere
in città. Resistettero però per poco, visto che in breve tempo i
francesi attaccarono la città in tutti i lati. Vennero attaccate Porta
del Borgo, Porta del Piano e Porta Cervara e il popolo fabrianese non
resistette per più di otto ore.
Vi fu allora un dannosissimo saccheggio della città. Vennero
incendiate le case coloniche, le Porte del Piano e del Borgo, ed anche
il Convento dei Cappuccini venne distrutto. Anche di archivi e
biblioteche non si ebbe più traccia.
Sfogliando il registro dei “Danni del saccheggio del 27 giugno 1799”
ci si rende conto dei danni economici portati dall’avvenimento, danni
che ammontano ad un totale di 333.884 scudi, pari a 1.76.056 lire, in
più venne imposto un pagamento di 10.000 piastre. Il registro riporta
in modo dettagliato i danni subiti dalla città elencandoli in base
alle parrocchie, ai conventi, ai monasteri etc..
Fig.2:copertina
dei “Danni del saccheggio del 27 giugno1799”
Fig.3:parte
del lungo elenco dei danni portati dal saccheggio del 1799
Ma il documento che sicuramente ci mostra al meglio l’intera vicenda,
dall’entità dei danni del saccheggio, al coraggio con cui i fabrianesi
hanno affrontato i francesi, è il “Liber Luguberrimus”. Questo
manoscritto mostra i periodi bui della storia fabrianese, e dunque,
parte di esso è dedicata all’episodio della lotta contro i francesi.
Nella carta 67 si legge come Fabriano“Senza nessuna guida, in poco
numero, e senza artiglieria, pure si espose a far fronte all’Esercito
Francese”. Sempre nella stessa carta è descritto il momento della
lotta vera e propria in cui il popolo “Fece fuoco per più ore, e
resistette più che potè, ma dovette cedere alle ostili forze di gran
lunga superiori”.
Ma il Liber Luguberrimus oltre a raccontare il coraggio di un popolo
che ha combattuto fino alla fine per difendere la propria città, ci
mostra anche il lungo e lugubre elenco delle persone rimaste uccise
durante gli scontri del 27 giugno 1799
.
Fig 4:parte
dell’elenco delle vittime degli scontri
Fig5:Carta
67 del Liber Luguberrimus in cui è narrata la lotta del
popolo fabrianese contro le truppe nemiche
Il saccheggio di Fabriano fu un avvenimento che scosse molto gli animi
del popolo fino al punto che si manifestarono vere e proprie scene di
panico. Una sera si cominciò a gridare che nella chiesa di San Venanzo
la Madonna Del Pianto muovesse gli occhi . Il Vicario allora fece
ricoprire la Madonna.
Poco tempo dopo il capo degli insorgenti di Sassoferrato scrisse alla
municipalità di Fabriano di ripristinare il governo monarchico e di
togliere l’albero della libertà. Intanto Macerata aveva restaurato il
governo Pontificio. Questa volta però i fabrianesi, spaventati
dall’esperienza precedente, agirono con più cautela. Girolamo Possenti
ricevette l’incarico di ripristinare il nuovo governo di Fabriano. Gli
ecclesiastici precedentemente espulsi vennero richiamati in città e i
luoghi pii vennero ripristinati.
Ecco dunque che in breve tempo il dominio francese venne soppiantato e
la situazione tornò alla normalità. Il popolo fabrianese non aveva
però guadagnato nulla. Infatti si ripeté la stessa situazione degli
anni precedenti: il popolo si trovò in una condizione difficile, di
abbandono e precarietà, soggetto a molte vessazioni finanziarie.
Conclusione
La situazione del popolo fabrianese è stata in questi anni critica. I
fabrianesi credevano nei repubblicani per poter migliorare le proprie
condizioni di vita che erano precarie a causa della crisi economica
che Fabriano stava vivendo. Ma non si raggiunsero affatto i risultati
sperati: il popolo fabrianese negli anni del dominio napoleonico si
trovò infatti in una situazione di disorientamento, oscillando tra
potere antico e potere nuovo, continuamente preda delle ambizioni
politiche dell’una e dell’altra parte, privo della consapevolezza e
delle conoscenze necessarie a comprendere che sia il potere
aristocratico che quello repubblicano, volevano da lui soltanto una
base di appoggio politico. Il popolo fabrianese è stato manovrato da
ambe le parti e non è riuscito a comprendere i valori della
repubblica. A questo proposito la colpa va data tuttavia agli stessi
francesi, come ci dice l’Angelelli: ”E’ questo il danno morale che
producono gli esaltati di tutti i tempi in tutte le migliori
iniziative politiche e morali, ed anche allora, per gli eccessi che si
succedevano agli eccessi, le nuove idee non poterono penetrare ed
essere comprese dal popolo come sarebbe stato necessario per
consolidare le nuove istituzioni democratiche”.
La colpa del fallimento della repubblica va quindi data sia al
popolo,incapace di comprendere i nuovi valori ,sia ai francesi, che, a
causa dei loro metodi, non hanno saputo ottenere l’appoggio dei
fabrianesi. E a questo proposito riportiamo il testo di due poesie
ritrovate nell’archivio Oliviero Benigni dall’Angelelli, poesie che
descrivono l’Albero della Libertà
: la prima descrive l’albero visto con gli occhi dei
repubblicani, la seconda ne è una risposta in chiave satirica. La
lettura delle due poesie ci aiuta a comprendere come gli ideali
repubblicani non siano stato compresi dal popolo.
DESCRIZIONE DELL’ALBERO
RISPOSTA PER LE RIME
DELLA LIBERTA’
Questa è l’ara,quest’è il
Nume Questa è
l’ara,quest’è il Nume
Su giurate cari amici
Deh venite amici cari
Di godere i dì
felici
Con li vostri Tafanari
Che godea
l’antichità.
A incensar la Libertà.
Di natura il bel
costume Su
venite, e poi cacate,
Si ripigli, e sia
tal’atto Che
profumi si odorosi
Sacro rito , e fermo
patto Son i doni
più preziosi
Di civile
Società.
D’una tal Divinità.
Ma nel dare poi la
fede Offerte ad
Dio novello
Sia ciascun sincero, e
puro Con un rito
inositato
Sia reale, e sia
sicuro
Cento corna di castrato
Che felice appien
sarà. Di
primiera qualità.
Che se mai talun si crede
Ma nel grande Sacrificio
Profanare il sacro
invito Per pietà
non vi scordate
Questi esclude il nostro
rito Quattro corna a
me lasciate
Perché reo
d’infedeltà.
Per la mia centralità.
A mio parere va comunque sottolineata, oltre questi aspetti, una
incompatibilità di fondo tra gli ideali repubblicani e la Fabriano di
quegli anni. Una popolazione assoggettata da lungo tempo al dominio
della Chiesa e contraddistinta da una smisurata fede, non avrebbe
potuto in ogni caso, seppur colta e forte, lasciar spazio e dei
dominatori che ponevano i lumi della ragione ad un livello superiore
rispetto alla sfera religiosa.
Infine bisogna constatare che sono stati proprio questi
avvenimenti,con particolare riferimento alla dura lotta del popolo
contro i francesi durante il saccheggio, a dare inizio al processo
che porterà il popolo fabrianese a prendere coscienza di sé.
Bibliografia edita
-O.Angelelli, Fabriano e il dominio francese del
1798-99,Fabriano, 1925
-I.Montanelli, Storia d’Italia, RCS libri, 1998,
edizione speciale Corriere della sera
-A.Lepre,La storia, Zanichelli, Bologna, 1999
-R.Sassi, Vita fabrianese a cavallo di due secoli.
Spigolature di cronaca locale, Fabriano, 1956
Bibliografia inedita
-ascf,Tabella degli obblighi,
voti, devozioni, elemosine , ed altro, che deve soddisfarsi
dall’illustrissima comunità di Fabriano,
sezione cancelleria, cerimoniali sacri,n.1,1799
-ascf , sezione cancelleria, culto, n.6, 1724-1802
-ascf, Danni del saccheggio dei francesi (1799),
sezione cancelleria, calamità pubbliche, n.7, fascicolo n.7, 1799
-ascf, Liber Luguberrimus, sezione cancelleria,
calamità pubbliche, n.2, 1799