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Istantanee dal Passato

L'invito a nozze e il pranzo degli sposi

 

di Balilla Beltrame

 

 

Cancelli di Fabriano, settembre 1907.

 

Sono in compagnia della signorina Enrichetta Marcellini, appassionata studiosa delle tradizioni popolari marchigiane, avanti alla chiesa parrocchiale. Nell’attesa dell’arrivo del corteo nuziale, mi illustra il cerimoniale del matrimonio in uso nella conca fabrianese. Rituali codificati da generazioni, rispettati scrupolosamente per tener lontana la cattiva sorte. Ogni gesto, ogni parola quindi, sono ben auguranti per gli sposini. Lei, la fidanzata, è casalinga, sa filare, tessere, ricamare; lui, un cortinaro, mezzadro di piccolo podere, coltiva ortaggi per la piazza della città, a zappa e vanga; possiede animali da cortile e una decina di pecore.

 

 Durante l’inverno scorso ha lavorato nella campagna romana per racimolare i soldi per il matrimonio A motivo della sua professione, il rito religioso si svolge di sabato. Mentre invece, per  i coloni di grandi appezzamenti lavorati con l’aratro, lo sposamento avviene di giovedì. È la regola.

 

‘L cpmpromesso

Un mese fa, di sabato sera, i parenti delle due famiglie si sono radunati in casa della giovane p’accomodasse, per ‘l compromesso. È stata fissata la data definitiva, fatto l’elenco del corredo e della dote; hanno pure diviso le spese del pranzo, ovvero, per ogni coppia di parenti invitati dalla famiglia della ragazza, si contribuirà con una quota di lire sei, l’equivalente di tre giornate lavorative del salario di un operaio di mestiere.

La coppia, dice sottovoce Enrichetta, non è al “primo amore”: già stati fidanzati con altre persone. Per questa ragione sono dovuti ricorrere alla preziosa mediazione del roffiano. In paese mormorano che je ce so’ armaste le strisce come le lumache. Vuol dire, conoscono bene le case dei due “lasciati”. Così, la notte stessa del compromesso, tanto per ridere, gli amici hanno fatto l’impajicciata. Si sparge la paglia su tutto il percorso che separa le abitazioni dei futuri coniugi da quelle egli ex fidanzati ai quali vengono anche imbrattate le porte con al calce. Inoltre, sui pianerottoli ci hanno lasciato trecce di aglio e foglie di fico.

 

L’accuncio

L’altra sera, giovedì, è avvenuto il trasporto della robba della fidanzata, con il birroccio tutto ripulito, tirato da due buoi infiocchettati col campano al collo. L’accuncio comprende  comò, armadio e il corredo tutti ammantati con la grande coperta del letto. Il fidanzato ha guidato le bestie schioccando la frusta, salutando tutto il paese accorso a vedere il corteo. C’erano pure le sorelle della coppia con le canestre di vimini sulla testa e i guanciali con le fodere ricamate; le ragazze hanno avuto l’onore d’arfà ‘l lietto.

Ma ecco arrivare altre persone, si accalcano ai lati del portone della chiesa. Un cicaleccio continuo prende tono all’arrivo dei protagonisti. Abito lungo ricamato, veletta sulla testa, collane di granate e coralli contro l’invidia, pennenti d’oro; lui, vestito nuovo nero, camicia bianca, collo a cinturino, cappello nero sbièscio. Dopo la confessione vengono accompagnati all’inginocchiatoio per il rito nuziale. Chiesa gremita, i paesani non seguono la messa, parlano a voce bassa, sembra un alveare. Aspettano la benedizione del prete per correre come forsennati fuori a vedene ji sposi. Escono a braccetto seguiti dai testimoni, amici e parenti a coppie, allineati come in processione. Fitti lanci a manate, di confetti, provocano spintoni e schiamazzi tra i monelli.

 

Dopo il rito religioso il corteo nuziale percorre le vie del paese fino alla casa della sposa. La madre offre ciambelle ricoperte di zucchero e vino rosso de la chiavetta.

 

L’inconocchiata

Si riprende il cammino, con gli auguri dei compaesani usciti dalle case per i saluti.  All’improvviso, la sfilata è interrotta da alcune donne vocianti sbucate da una fratta. È  l’inconocchiata spiega la Marcellini divertita. Portano e muovono un’enorme conocchia gonfia di canapa adorna di fiocchi, nastri, campanelli, fiori e ciambelle. Vogliono avvertire la sposetta in questo modo gioioso, che nella nuova casa avrà non poche difficoltà a convivere con la suocera, in compenso, non le mancheranno sorrisi e dolcezze. Eccola qui la suocera adorna di collane e orecchini d’oro, testimonianza della proverbiale bellezza delle donne cancellane. Aspetta seria avanti casa. La gente ammutolisce, la nuora si inginocchia, chiede la santa benedizione. La vergara col mazzo delle chiavi dei magazzini e della cantina, legato alla cinta con un nastro nero, declama le parole rituali: “Porti la pace o porti la guera nella mia casa?”

“Porto la pace.” E’ la timida risposta. “La pace ce porti e la pace c’artrovi!” Conclude baciando la ragazza commossa. Per rompere il momento di tensione, un fischio alla pecorara spacca l’aria. “Aléee, se beve!” grida una voce possente. Arrivano boccali, bicchieri e ciambelle, mentre, la nuova venuta, è accompagnata dai parenti in tutte le stanze a pijà possesso della casa.

 

Ij brinsi

La mensa imbandita con tovaglie bianche odorose di lavanda, sta sotto alla pergolata d’uva fragola; vedo fasci di santoreggia appesa ai fili. Uhm! Il suo profumo, la mangiata e la musica e i balli stordiranno gli animi, allenteranno i freni del buon senso.

Gli sposi a capotavola, vicino, la parentela più stretta, el prete, el patrò, la maestra, gli amici, gli ospiti, il suonatore d’organetto, il ruffiano che non sta nella pelle per la contentezza del risultato e sfoggia la camicia avuta in compenso; ‘l poeta chiude la compagnia. Deve essere libero di muoversi, di alzarsi.

Stracciatella in brodo, lesso di cappone, vincisgrassi, arrosto misto, crema e ciambellone, vino e vin santo a volontà: questa è la lista delle portate. Tra l’una e l’altra si susseguono i brinsi, brindisi improvvisati, mentre ‘l poeta declama versi auguranti infarciti di sottintesi e man mano che il vino sale alla testa, sempre più sboccacciati che fanno arrossire la mia accompagnatrice infastidita pure dal lancio violento dei confetti.

 

Ij schersi

Durante il lungo pranzo gli sposi novelli, com’è tradizione, subiscono dagli amici ij schersi. Prima di mangiare hanno messo sotto il piatto accoppato della sposa un uccelletto. Sotto lo sguardo di tutti, la giovane solleva il piatto, il passerotto tremante spicca il volo ma lesta, l’acchiappa provocando un’esplosione di grida, di evviva. Porta bene! A lui invece, hanno portato una terrina nuova colma di cardi e di ortica fresca. Incurante del dolore, con un pugno la spacca tra gli applausi dei commensali. Con questo gesto nessuno ha più dubbi sulla “forza” dell’uomo, mi dice il prete soddisfatto. La moglie quindi, raccoglie i cocci e raccattuna dai parenti offerte in denaro, utile per completare l’arredamento della camera. Gli stessi amici hanno già preparato altri scherzi nel letto matrimoniale. Un fascio di cardi tra le lenzuola  e alcuni campanacci attaccati alle reti. La combriccola poi, dopo accompagnata la coppia in camera a un’ora di notte, aspetterà sotto le finestre gli effetti della burla.

Finito il dolce attacca l’organetto, ritmato dal cembalo di un’arzilla vecchietta. Un fremito percorre gli animi. Sartarello, Manfrina, Frullana sull’aja, fino a notte, fanno rinvenire anche i morti; le gambe si muovono da sole; Enrichetta aggredita dai suoni zampetta e saltella sulla sedia. Accendono le lanterne. Stanchi per i balli, alticci gli invitati ritornano verso casa se ritroveranno la strada. Ognuno porta come ricordo la ciambella nuziale ricevuta in cambio di un’altra offerta in soldi.

Anche noi salutiamo tutti ringraziando per questa giornata particolare.

Queste costumanze sopravvissute nel tempo, non dureranno probabilmente a lungo.” Conclude un po’ triste Enrichetta aggiustandosi il cappellino infiocchettato, mentre rientriamo in città con una carrozza di piazza. “Col loro scomparire, più nulla resterà dell’alito di quella semplice ma profonda e dolce poesia che spirava oggi in ogni atto delle nozze contadinesche.”

 

Tratto da Feste e costumanze popolari. Amori e nozze fra campagnoli di Enrichetta Marcellini.

 


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