La battaglia
di Sentino (1a parte)
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versione aggiornata 2009 ---
di Federico
Uncini
GLI EVENTI
DELLA PRIMA E SECONDA GUERRA SANNITICA
Nelle mire
espansionistiche di Roma vi era la volontà dell'ampliamento dei propri
confini ed al tempo stesso quella di fiaccare la potenza dei nemici che
gli precludevano le vie verso l'Adriatico,sia al sud sia al centro della
penisola Italiana.
Nel IV sec a.C. i Romani iniziarono la conquista dei territori
dell’Italia centrale, conducendo operazioni militari contro gli
Etruschi, i Sanniti, gli Umbri e i Galli Senoni. Gli eventi che
precedettero la battaglia di Sentino (chiamata anche prima guerra
italica) dal 341 a.C. al 296 a.C. sono vaghi e confusi.
Tito Livio nel libro VII ci fornisce la ricostruzione dell’origine della
guerra contro i Sanniti: “E da questo punto si dovrà trattare di guerre
più importanti sia per la potenza dei nemici con i quali si venne alle
mani, come per la grande distanza delle regioni e per la durata delle
guerre stesse. Ed infatti in quell'anno (343 a.C.) si combatté contro i
Sanniti, gente valida in armi e ricca di mezzi; alla guerra sannitica,
che non fu risolutiva, tenne dietro quella con Pirro, a questa succedè
il nemico cartaginese. Che imprese colossali! e quante volte si giunse
quasi alla catastrofe,perché si conseguisse questa vastità di dominio
che appena si sorregge!Alla guerra con i Sanniti, poi, i Romani, che
erano legati con loro da amicizia e da alleanza, furono trascinati non
da cause intrinseche ma da circostanze esteriori. I Sanniti avevano
attaccato di prepotenza i Sidicini, dei quali erano molto più potenti;
le condizioni d’inferiorità costrinsero i Sidicini ad allearsi con i
Campani, gente assai più ricca di mezzi. I quali però,afflosciati da una
vita agiata, portarono aiuto più di nome che di fatto; sconfitti sui
territorio dei Sidicini dai Sanniti, assai più induriti nella vita
militare, tutto il peso della guerra venne a riversarsi su loro: perché
i Sanniti, non curandosi più dei Sidicini, mossero all'attacco della
città dei loro confinanti, i Campani, dove contavano di avere, con una
vittoria altrettanto facile, maggiore gloria e più ricca preda.
Occuparono perciò i Tifati, colli che dominano la città di Capua, con un
valido presidio e discesi poi nella pianura che si stende tra Capua e i
Tifati, con l'esercito compatto, diedero di nuovo battaglia e
sconfissero di nuovo gli avversari, costringendoli a rinchiudersi dentro
le mura. I Campani che avevano perduto il fior fiore della loro
gioventù, non potendo sperare nell'aiuto di poli vicini, furono
costretti a chiedere quello dei Romani”.
Nel 341 a.C. avvennero in Campania, nel cuore del Sannio le battaglie
decisive di Gauro e Saticula I Romani vinsero, ma subito dopo
rinnovarono il trattato con i Sanniti riconoscendo a questi il diritto
di intervenire contro i Sidicini.
In questo periodo la politica di Roma si mosse a sfavore dei Latini.
Essi furono i più danneggiati dalla preponderanza Sannita e dalla
perdita del controllo della Via Latina che passava per Teano. Ugualmente
rapida fu la sottomissione dei Campani e dei Sidicini.Dal 340 a.C. al
338 a.C. i teatri d’operazione, secondo le fonti storiche, furono assai
mobili. Una battaglia decisiva e molto aspra si svolse a Trifano, nel
territorio di Minturnae (Minturno -LT), ai confini tra i territori
occupati da Latini e Campani.A seguito della vittoria dei Romani furono
fondate le colonie latine di Circeii, Nepi, Norba, Setia, Signia,
Sutrium. Roma in questo periodo divenne la capitale del Lazio,
raddoppiando il suo territorio rispetto agli inizi della guerra
portandoli a circa 6000 km quadrati. Nel 329 a.C. fu fondata la colonia
di Terracina e furono insediati diversi presidi militari sul lungo mare.
Nel 326 a.C. i Romani stipularono un trattato con la colonia greca di
Napoli a danno dei Sanniti.
Le guerre che seguirono, comunemente note come seconda e terza guerra
Sannitica (dal 326 a.C. al 304 a.C. e dal 298 a.C. al 290 a.C. ), furono
in realtà un’unica lunga ed estenuante lotta per la supremazia dei
Romani sui Sanniti. Esse furono combattute su fronti sempre più lontani
da Roma, coinvolgendo interessi più vasti, tanto che l'ultima fase, la
terza guerra Sannitica, assunse l'aspetto di una guerra Italica e tale
fu sentita dagli antichi.
MIRE ESPANSIONISTICHE DI ROMA E NUOVE TATTICHE MILITARI
Secondo alcune fonti storiche nel 325 a.C. i Romani condussero una prima
penetrazione nel territorio dei Vestini, ad oriente del territorio
Sannita, da ciò si può presumere che già agli inizi la loro strategia
comportasse quell'ampia manovra d’accerchiamento ,che di fatto fu poi
attivata, portando Roma a stretto contatto con la realtà politica
dell'Italia centro - orientale e meridionale.
In realtà la seconda guerra Sannitica dal punto di vista militare, fu
decisa da una serie di combattimenti nel Sannio e nella regione
occidentale del Lazio e della Campania, la cui conquista fu l'esito
sostanziale del conflitto.
I Romani, dopo diverse operazioni che evidentemente non avevano
comportato risultati consistenti, decisero di tentare l'avanzata nel
cuore del Sannio: il loro obiettivo doveva essere una delle capitali dei
Pentri : Boviano (IS).
Questa manovra tattica condusse nel 321 a.C. al disastro delle Forche
Caudine, quando l'esercito romano forte di due legioni guidate da Spurio
Postumio Albino e Tito Vetrurio Calvino, in marcia su Benevento sulla
Via Appia che conduceva a Capua, fu bloccato e sconfitto in una stretta
gola nelle vicinanze di Caudium , antica città del Sannio.
I romani dovettero arrendersi e sottostare ad una pace onerosa,che non è
certo se fu accettata o no dal senato.
L’esercito dovette in ogni modo passare sotto il giogo,le così dette
“forche caudine”.
Tito Livio ci ha tramandato il fatto umiliante : «Per primi furono fatti
passare sotto il giogo i consoli, quasi nudi; furono poi via via
sottoposti al disonore, secondo l'ordine gerarchico, gli altri
ufficiali: poi successivamente le singole legioni. Stavano intorno i
nemici armati, insultandoli e schernendoli; parecchi furono anche
minacciati con le spade, e alcuni feriti e uccisi, se i loro volti
troppo accigliati per l'indegnità di quel trattamento avevano offeso il
vincitore. Dopo essere passati sotto il giogo e, ciò che era quasi più
gravoso, sotto gli occhi dei nemici, una volta che furono usciti dalla
gola, benché, come se fossero stati tratti fuori dagli inferi, paresse
loro di vedere allora per la prima volta la luce, tuttavia la luce
stessa, alla vista di si miserevole marcia, fu per loro più triste di
qualsiasi morte. Pertanto, sebbene potessero giungere a Capua prima di
notte, incerti com'er¬ano della fedeltà degli alleati, e anche perché li
tratteneva la vergogna, si gettarono a terra, bisognosi di tutto, ai
lati della strada, non lungi da Capua».
Appena la notizia giunse a Capua, una giusta compassione per gli alleati
prese il sopravvento sull'innata superbia dei Campani. Subito essi
mandano ai consoli le loro insegne, e riforniscono generosamente i
soldati di armi, di cavalli, di vesti e di viveri; e al loro arrivo a
Capua escono incontro a essi tutto quanto il senato della città e il
popolo, adempiendo tutti i giusti doveri d'ospitalità pubblica e
privata. Ma né la cortesia degli alleati, né gli sguardi benevoli, né le
frasi di conforto riuscivano, non soltanto a strappar loro di bocca una
parola, ma neppure a far sì che essi alzassero gli occhi o guardassero
in faccia gli amici che li consolavano: a tal punto, oltre il dolore,
una vera vergogna li spingeva a schivare i discorsi e la compagnia della
gente. Il giorno dopo, quando ritornarono i giovani nobili ch'erano
stati mandati da Capua ad accompagnare i partenti fino al confine
campano, furono chiamati nella curia, e alle interrogazioni degli
anziani risposero ch'erano sembrati loro as¬sai più mesti e abbattuti:
tanto la colonna aveva proceduto silenziosa e quasi muta; la famosa
tempra dei Romani era umiliata, e insieme con le armi era stato tolto
loro l'ardire; nessuno aveva avuto la forza di restituire il saluto,
nessuno era stato capace di aprir bocca per il timore,come se portassero
ancora sul collo il giogo sotto il quale erano stati fatti passare; I
Sanniti disponevano di una vittoria non soltanto splendida, ma anche
eterna;essi infatti avevano conquistato non Roma, come prima i Galli ma,
ciò che era un’impresa di assai maggior valore ,l'eroismo e la fierezza
dei Romani».
La sconfitta di Caudio segnò l'inizio di una lunga tregua, durata fino
al 316 a.C., che impose ai Romani di apportare all'esercito alcune
modifiche importanti, come il raddoppio delle legioni da due a quattro e
l'adozione di uno schieramento tattico più agile, adatto alla guerra sui
terreni accidentati, consistente nella suddivisione della legione in 30
manipoli, che formarono da allora l' unità base della legione. Anche
l'armamento fu rinnovato con l'adozione del pilum e dello scudo
rettangolare, che rimarranno poi classici.
Nel 315 a.C. furono riprese le operazioni belliche con esito sfavorevole
ai Romani; lo scontro più importante si ebbe a Lautulae, nei pressi di
Terracina. I Sanniti vinsero ancora e questa volta in campo aperto.
Nel 314 a.C. fu fondata la colonia latina di Luceria (Lucera-Foggia) ai
confini tra la Puglia e il Sannio. Tale colonia aveva lo scopo di
permettere l'accerchiamento del territorio Sannita, già iniziato per via
diplomatica attraverso alleanze con le tribù dei Marsi, dei Peligni,dei
Marruncini, dei Frentani, che ridussero il margine di manovra alla
coalizione Sannita.
Nello stesso anno Fabio Rulliano ottenne una vittoria a Terracina.
L'entità di questo successo fu notevole poiché mostrò ai Sanniti la
difficoltà di raggiungere un risultato finale e decisivo a causa della
capacità di recupero dei Romani.
Anche gli stessi Romani rimasero logorati dallo scontro e le lotte
interne di quegli anni ne sono una dimostrazione.
Nello stesso periodo cominciarono a muoversi gli Etruschi con l'intento
di contrastare il dominio romano presso i loro confini.
Roma in ogni caso continuò nella sua politica d’occupazione di un
territorio che riteneva d’assoluta importanza strategica ed economica.
Nel 312 a.C. fu occupata la valle del Liri e fondata la colonia d’Interamna
Lirenas (Latina).
Nel 311a.C. Fabio. Rulliano eseguì una spedizione che portò per la prima
volta i Romani a nord dei monti Cimini, consentendo loro di contenere la
minaccia Etrusca.
Fu in questo periodo che iniziarono a costituirsi i grandi schieramenti
e le alleanze sia di Roma sia dei Sanniti.
LA PENETRAZIONE ROMANA NEL CENTRO ITALIA
Nel 310 a.C. fu stipulato un trattato d’alleanza tra Roma e la città
umbra di Camers (Camerino), definito" Aequum Foedus", con cui le parti
s’impegnavano ad un aiuto reciproco, soprattutto in caso di guerra.
Nel 309 a.C. si ebbe l'alleanza di Roma con Otricoli e nel 303 a.C.
l'Italia centrale fu controllata dai Romani con la fondazione delle
colonie latine di Sora (Frosinone), d’Alba Fucense (Avezzano), poco
dopo, di Carsulae ( S. Gemini), in territorio Equo, 298 a.C.
Nel 299 a.C. con la disfatta di Nequinum e la fondazione della colonia
di Narnia (Narni), si aprirono alla penetrazione romana le porte
dell'Umbria e della Sabina.
Nel 298 a.C. Scipione Barbato compì una spedizione in Puglia, con il
consueto proposito di stringere i Sanniti nel sud dell’Italia, occupando
posizioni strategiche nelle regioni della Cisauna, Lucania e Tausasia.
I Sanniti, d'altra parte avevano ovviamente come obiettivo prioritario
il congiungimento delle loro forze con quelle dei Galli, degli Umbri e
degli Etruschi nelle Marche.
Nel 295 a.C. l'obiettivo di una lega di queste popolazioni parve
realizzarsi e Roma dovette ancora una volta impiegare tutte le risorse
umane di cui disponeva e le migliori strategie contro la forte
coalizione Italica.
I Piceni, stanziati nelle Marche meridionali,si dichiararono neutrali al
conflitto. Questa loro posizione politica fu favorevole ai Romani,
poiché una buona parte dell'Italia centrale fu non belligerante,
consentendo loro di inoltrarsi verso nord, di attraversare i territori
alleati e di avvicinarsi ai confini della Senonia senza incontrare
ostilità da parte della gente locale.
Roma in questa situazione politico -geografica ebbe un canale
preferenziale e favorevole che le consentì di spingersi nella Gallia
Senonia, facendo anche affidamento sull’alleato Camerino, che si trovava
a circa 35 miglia da Sentino allora occupata dai Senoni.
IL RACCONTO DI TITO LIVIO
“All'inizio della primavera (295 a.C), Fabio lasciò la seconda legione a
Chiusi, che un tempo si chiamava Camars, e affidato il comando
dell'accampamento al propretore Lucio Scipione , egli tornò a Roma per
una consultazione sulla guerra, sia che avesse preso lui tale
iniziativa, perché la guerra vista coi propri occhi appariva più ardua
di quanto aveva giudicato in base alle notizie avute, sia che fosse
stato deliberatamente chiamato dal Senato ; vi sono infatti sostenitori
di entrambe le versioni. Alcuni vogliono far credere che il suo richiamo
sia stato provocato da Appio Claudio, il quale accresceva il terrore
destato dalla guerra etrusca in Senato e davanti al popolo, come aveva
fatto ripetutamente per lettera: non sarebbe bastato un solo comandante
né un solo esercito contro quattro popoli; v'era il pericolo che uno
solo non potesse sostenere tutto il peso della guerra, sia che
attaccassero insieme su un solo fronte, sia che combattessero su fronti
diversi. Egli aveva lasciato là due legioni romane, e con Fabio erano
venuti meno di cinquemila uomini fra fanti e cavalieri. Riteneva
opportuno che il console Publio Decio raggiungesse al più presto il
collega in Etruria, e che si assegnassero a Lucio Volumnio le operazioni
nel Sannio; se il console preferiva partire per il proprio fronte,
doveva essere Volumnio a raggiungere l'altro console in Etruria con un
adeguato esercito consolare. Poiché il discorso del pretore otteneva il
suo effetto su molti, dicono che Publio Decio abbia espresso il parere
che si lasciasse ogni decisione a Quinto Fabio, fino a quando, o venisse
lui a Roma, se poteva farlo senza danno per la Repubblica, o mandasse
qualcuno dei suoi luogotenenti, dal quale Il Senato potesse venire a
sapere qual era l'entità della guerra in Etruria, e con quante forze e
quanti comandanti si doveva condurla.
Fabio appena tornò a Roma, sia in Senato, sia quando fu fatto comparire
dinanzi al popolo, tenne un discorso conciliante, in modo da, lasciar
intendere ch'egli non voleva né Ingigantire né sminuire le voci che
correvano sulla guerra, e che nel procedere alla scelta di un altro
comandante, più che pensare al proprio pericolo o a quello della
Repubblica, egli secondava Il timore degli altri: ma se volevano dargli
un aiutante nella guerra e un collaboratore nel comando, come poteva
dimenticare Il console Publio Decio, ch'egli aveva tante volte
sperimentato quale collega? Nessun altro era più indicato per unirsi con
lui; le sue truppe insieme con quelle di Publio Decio sarebbero state
sufficienti, e non vi sarebbe mai stato nemico troppo forte. Se poi il
collega preferiva qualche altro incarico, allora gli dessero come
aiutante Lucio Volumnio. Sia dal popolo, sia dal Senato, sia dal collega
stesso fu lasciata a Fabio piena libertà di scelta; e quando Publio
Decio mostrò d'essere pronto a partire per Il Sannio o per l'Etruria, fu
tanta la gioia e l'esultanza, che si pregustava nell'animo la vittoria,
e sembrava che al console fosse stato assegnato il trionfo, non la
guerra.
Trovò presso alcuni autori che Fabio e Decio partirono per l’Etruria
subito all'inizio del loro consolato, senza il minimo cenno sul
sorteggio degli Incarichi e sui contrasti fra I colleghi che lo ho
esposto. Vi sono invece di quelli che, non accontentandosi di esporre
neppure questi fatti, vi. hanno aggiunto le accuse di Appio, davanti al
popolo, contro Fabio assente, l’ostinazione del pretore verso il console
presente e un'altra contesa fra i colleghi, perché Decio avrebbe preteso
che ognuno si prendesse cura della zona d'operazioni che gli era toccata
in sorte. La certezza sullo svolgersi degli eventi si comincia ad.
averla dal momento in cui entrambi i consoli partirono per la guerra.
Ma, prima che i consoli giungessero In Etruria, i Galli Senoni mossero
in gran numero alla volta di Chiusi, disponendosi ad assalire la legione
e l'accampamento dei Romani. Scipione, che aveva il comando del campo,
pensando di dover rimediare con la posizione all’inferiorità numerica
dei suoi, fece salire l'esercito su un colle che sorgeva fra la città e
l'accampamento; ma, come avviene quando si è presi alla sprovvista,
s'avviò alla sommità senza aver ben esplorata il cammino. e questa era
già stata occupata dai nemici ch'erano saliti da un'altra parte. Così la
legione fu presa in mezzo assalita alle spalle e stretta com'era da Ogni
parte dal nemico. Alcuni affermano perfino che ivi la legione sarebbe
stata annientata, al punto che non rimase nessuno da poter dare la
notizia, e che l'annunzio di quella sconfitta sarebbe stato recato al
consoli, i quali si trovavano ormai non lontano da Chiusi, non prima che
fossero in vista i cavalieri dei Galli, che portavano teste appese al
petti dei cavalli e infisse su picche, e festeggiavano la vittoria coi
loro tipici canti. Vi sono di quelli i quali tramandano che erano Umbri,
non Galli, e che la sconfitta subita non fu così grave sarebbero stati
accerchiati alcuni foraggiatori e in loro aiuto sarebbe accorso dal
campo il propretore Scipione insieme coi luogotenente Lucio Manlio
Torquato; riaccesasi la battaglia, gli Umbri vittoriosi sarebbero stati
vinti a loro volta, e ad essi sarebbero stati tolti i prigionieri e la
preda. Più verosimile che ad infliggerci quella sconfitta siano stati i
Galli anziché gli Umbri, perché come spesso altre volte, così
soprattutto quell'anno la città fu in preda al terrore di un improvviso
attacco da parte dei Galli. Pertanto, oltre ad essere partiti per la
guerra entrambi i consoli con quattro legioni e un grosso contingente di
cavalleria romana con mille cavalieri scelti mandati per quella guerra
dai Campani, e con un esercito di alleati e di Latini maggiore di quello
romano, altri due eserciti furono inviati a fronteggiare l’Etruria non
lunge dall'Urbe, uno nel territorio dei Falisci, l'altro nell'agro
Vaticano. i propretori Cneo Fulvio e Lucio Postumio Megello. ricevettero
entrambi l’ordine di acquartierarsi in quel luoghi.
I consoli, valicato l'Appennino. raggiunsero il nemico nel territorio
Sentinate; ivi, a circa quattro miglia di distanza, fu posto
l'accampamento. Si tennero quindi delle consultazioni fra i nemici, e si
convenne di non congiungere tutte le forze in un solo accampamento e di
non scendere a battaglia contemporaneamente; i Galli si unirono ai
Sanniti, gli Etruschi e gli Umbri. Venne fissato il giorno del
combattimento; alla battaglia furono destinati i Sanniti e i Galli; gli
Etruschi e gli Umbri ebbero l'incarico di assalire il campo romano
proprio nel mezzo del combattimento. Guastarono questi piani tre
disertori di Chiusi. i quali durante la notte passarono di nascosto, al
console Fabio gli rivelarono i progetti dei nemici; essi, furono quindi
congedati con dei doni, perché continuassero a spiare e riferissero
qualunque nuova decisione venisse presa. I consoli scrivono a Fulvio e a
Postumio di far avanzare i loro eserciti, rispettivamente dal territorio
dei Falisci e dall'agro Vaticano, verso Chiusi, e di devastare con
estrema violenza il paese dei nemici. La notizia di tale devastazione
indusse gli Etruschi ad allontanarsi dal territorio di Sentino per
difendere il loro paese. Per due giorni provocarono il nemico, a
battaglia; per due giorni non si ebbe alcun fatto degno di nota: pochi
furono i ,caduti da entrambe le parti, e gli animi furono eccitati a una
battaglia regolare più che non si giungesse a un'azione decisiva. Il
terzo giorno si scese in campo con tutte le forze.
Mentre gli eserciti stavano schierati, una cerva che fuggiva un lupo,
cacciata, dal monti, corse giù per i campi in mezzo alle due formazioni;
quindi le bestie si volsero in direzioni opposte, la cerva verso i
Galli, Il lupo verso i Romani. Il lupo fu lasciato passare tra le file;
la cerva fu trafitta dal Galli. Allora un soldato romano ch'era tra gli
antesignani: La si è volta la fuga e la strage,» disse dove vedete
giacere morta la cerva sacra a Diana; qui il lupo vincitore sacro a
Marte, sano e salvo, ci ha richiamato alla mente la stirpe di Marte e
del nostro fondatore.
I Galli si disposero all'ala destra, I Sanniti alla sinistra. Contro i
Sanniti Quinto Fabio schierò, come ala destra, la prima e la terza
legione, contro i Galli, come ala sinistra, Decio schierò la quinta e la
sesta; la sesta nel Sannio col proconsole Lucio Volumnio. Al primo
scontro si lottò con tale parità di forze che, se ci fossero stati gli
Etruschi e gli Umbri, o in battaglia o nell'accampamento, dovunque ci si
fosse volti, si sarebbe dovuta subire una sconfitta. Ma, quantunque la
sorte della guerra fosse ancora incerta e la fortuna non avesse ancora
deciso quali forze avrebbe fatto prevalere, la battaglia non era affatto
uguale nell'ala destra e nell' ala sinistra. I. Romani dalla parte di
Fabio stavano sulla difensiva più che passare parte all’offensiva, e si
cercava di protrarre la lotta fino al più tardi possibile, perché il
comandante sapeva perfettamente che i Sanniti e i Galli erano così
irruenti al primo scontro, ch'era già molto sostenerne l'impeto; ma col
prolungarsi della lotta l'animo dei Sanniti a poco a poco cede, e i
Galli, poi, hanno anche un fisico del tutto intollerante alla fatica, la
loro foga s'esaurisce e, mentre all'inizio della lotta sono più che
eroi, alla fine valgono meno delle femmine. Egli cercava dunque di
conservare il più possibile integre le forze del suoi soldati per il
momento in cui il nemico si lasciava di solito sopraffare.
Decio, più impetuoso per l'età e per il vigore dell'animo, gettò tutte
le forze di cui disponeva nel primo scontro. e, poiché l'assalto della
fanteria gli sembrava troppo lento, egli lancia nella lotta la
cavalleria, e in mezzo al più forte squadrone di giovani incita il fiore
della gioventù a scagliarsi, insieme con lui contro il nemico: duplice
sarebbe stata la loro gloria diceva se la vittoria cominciava dall'ala
sinistra e dalla cavalleria. Due volte fecero ripiegare la cavalleria
dei Galli; la seconda, mentre si erano spinti troppo lontano e già
accendevano la lotta In mezzo alle schiere dei fanti, furono atterriti
da un nuovo genere di combattimento; Il nemico, stando armato su carri
da guerra e da trasporto, avanzò con gran frastuono di cavalli e di
ruote e spaventò i cavalli dei Romani non abituati a quel tumulto.
Così quasi un terrore panico disperde la cavalleria vittoriosa; la fuga
impreveduta abbatte quindi cavalli e uomini lanciati in una corsa
sfrenata. Di qui lo scompiglio si trasmise anche ai reparti delle
legioni, e molti antesignani furono travolti dall'impeto dei cavalli e
dei carri spinti in mezzo alle loro file; l'esercito dei Galli, ch'era
sopraggiunto appena visto il nemico in preda al terrore, non lasciò ad
essi il tempo di riprendere fiato e di riaversi. Decio gridava loro dove
volevano fuggire e quale speranza riponevano nella fuga; si parava
innanzi a quelli che indietreggiavano e richiamava i dispersi; quindi,
visto che nessuna forza valeva a trattenere quegli uomini sgominati,
chiamando per nome il padre Publio, Decio. "Cos'altro aspetto"disse "ad
andare incontro al fato della mia famiglia? Questo è il destino della
nostra stirpe, di essere vittime espiatorie per stornare i pubblici
pericoli. Ora lo offrirò in sacrificio,insieme con me _le legioni dei
nemici alla Terra e gli dei Mani». Detto ciò ordinò al pontefice Marco
Livio, al quale scendendo in campo aveva imposto che di suggerirgli le
parole con le se stesso e le legioni del nemici cito del popolo romano
dei Quiriti.
Immolatosi quindi con la stessa preghiera e nello stesso atteggiamento
con cui aveva voluto essere immolato suo padre Publio Decio presso il
Veseri , nella guerra latina, dopo aver aggiunto secondo la formula
solenne ch'egli cacciava avanti a sé la paura, la fuga, la strage e il
sangue, l'ira degli dèi celesti ed inferi, che avrebbe colpito con
funeste maledizioni le insegne, i dardi,e le armi. dei nemici, e che lo
stesso luogo sarebbe stato la tomba sua, dei Galli e dei Sanniti , dopo
aver così imprecato contro se stesso e contro i nemici, spronò il
cavallo dove più folta vedeva la schiera dei Galli, ed esponendosi
volontariamente ai dardi nemici cadde ucciso.
La battaglia assunse poi un aspetto quasi sovrumano. I Romani, perduto
il comandante, avvenimento questo che altre volte suole essere causa di
terrore, cessavano di fuggire e volevano ricominciare daccapo il
combattimento; I Galli, e soprattutto lo stuolo che s'assiepava attorno
al cadavere del console, come usciti di sé sprecavano i loro dardi
scagliandoli a vuoto; alcuni erano storditi e non pensavano né al
combattimento né alla fuga. Dall'altra parte invece il pontefice Livio,
al quale Decio aveva passato i littori e aveva ordinato di assumere le
funzioni di comandante, gridava che i Romani avevano vinto, che s'erano
disimpegnati con la morte del console; i Galli e i Sanniti appartenevano
alla madre Terra e agli dei Mani; Decio trascinava e chiamava a sé la
schiera immolata insieme con lui, e presso i nemici regnavano ovunque la
furia e lo spavento. Poi, mentre questi uomini risollevavano le sorti
della battaglia, sopraggiungono coi rinforzi presi dalla retroguardia
Lucio Cornelio Scipione e Caio Marcio, che avevano ricevuto l'ordine dal
console Quinto Fabio di accorrere in difesa del collega. Allora si viene
a sapere la sorte di Publio Decio, che un grande incitamento a tutto
osare per la salvezza della Repubblica. Pertanto, poiché i Galli
restavano in file serrate ergendo dinanzi, a sé una barriera, di scudi e
non sembrava facile un combattimento a corpo a corpo, per ordine dei
luogotenenti furono raccolti i giavellotti ch'erano sparsi a terra in
mezzo alle due schiere, e furono: scagliati contro la testuggine nemica;
e benché la maggior parte di questi si conficcasse negli scudi e ben
pochi nei corpi, il cuneo venne abbattuto, cosicché molti cadevano
storditi col corpo illeso. Queste erano state le alterne vicende della
fortuna nell'ala sinistra dei Romani.
Nell'ala destra Fabio dapprima, come s'è detto innanzi ,aveva tirato in
lungo il giorno temporeggiando; poi, quando gli sembrò che né le grida
dei nemici, né il loro impeto, né i dardi ch'essi scagliavano avessero
più lo stesso vigore, ordinò ai comandanti della cavalleria di compiere
con le ali una manovra d'aggiramento sul fianco dei Sanniti, in modo che
al segnale convenuto li caricassero trasversalmente col maggior impeto
possibile, e successivamente ai suoi di avanzare a poco a poco e di far
indietreggiare il nemico. Appena s'accorse che non s'incontrava
resistenza e che la stanchezza si faceva chiaramente sentire, radunate
tutte le truppe ausiliarie, ch'egli aveva riservato, per quel momento,
lanciò all'assalto le legioni e diede al cavalieri il segnale di
piombare sul nemico. I Sanniti non sostennero l'urto, e, oltrepassando
perfino lo schieramento dei Galli, dopo aver abbandonato nella lotta gli
alleati, si precipitavano in fuga disordinata verso l'accampamento; i
Galli, in formazione di testuggine, restavano in file serrate. Allora
Fabio, saputa la notizia della morte del collega, ordinò alla schiera
dei Campani, circa cinquecento cavalieri, di allontanarsi dallo
schieramento e di piombare, compiendo un giro, alle spalle dei Galli; a
loro dovevano poi tener dietro i principi della terza legione, col
compito d'incalzare e di fare a pezzi i nemici in preda al terrore, dove
vedevano la loro schiera scompigliata dalla carica dei cavalieri. Dopo
aver promesso in Voto a Giove Vincitore un tempio e le spoglie dei
nemici, egli si diresse al campo dei Sanniti, dove si riversava tutta la
moltitudine sgominata. Perfino sotto lo steccato, poiché per le porte
non poteva passare una simile massa di gente, fu tentato il
combattimento da parte di coloro ch'erano rimasti fuori per la ressa;
ivi cadde Gello Egnazio ,il comandante in capo dei Sanniti; quindi i
Sanniti furono, ricacciati entro lo steccato, e dopo breve lotta
l'accampamento fu conquistato e i Galli furono sorpresi alle spalle.
Quel giorno furono uccisi venticinquemila nemici, ottomila furono fatti
prigionieri; ma non fu una vittoria senza perdite; infatti caddero
settemila uomini dell'esercito di Publio Decio e millesettecento di
quello di Fabio. Fabio, dopo aver mandato degli uomini a cercare il
cadavere del collega, fece ammassare le spoglie dei nemici e le bruciò
in onore di Giove Vincitore. Il cadavere del console non si poté trovare
quel giorno, perché era coperto da cumuli di Galli che v'erano stesi
sopra; fu trovato il giorno seguente e riportato con gran pianto dei
soldati. Messo quindi da parte ogni altro pensiero, Fabio celebra i
funerali del collega con tutti gli onori e con giuste lodi.
Negli stessi giorni anche le operazioni condotte in Etruria dal
propretore Cneo Fulvio diedero il risultato che ci si augurava: oltre al
gravi danni inflitti al nemico con le devastazioni dei campi, si
combatté anche con successo, furono uccisi più di tremila Perugini e
Chiusini, e catturate schiera di Sanniti, in fuga attraverso il
territorio dei Peligni, fu circondata dai Peligni stessi; di cinquemila
uomini ne furono uccisi circa un migliaio.
Grande fu la fama di quella giornata in cui si combatté nel territorio
di Sentino, anche a volersi attenere alla realtà, ma alcuni esagerando
andarono oltre i limiti del credibile, poiché scrissero che
nell'esercito nemico v'erano seicentomila fanti, quarantaseimila
cavalieri e un migliaio di carri, compresi naturalmente gli Umbri e i
Tusci, che avrebbero partecipato anch'essi alla battaglia; e per
accrescere anche il numero dei Romani, essi aggiungono ai consoli Lucio
Volumnio, comandante in qualità di proconsole, e alle legioni dei
consoli il suo esercito. In diversi annali quella vittoria viene
attribuita ai due consoli.
: nel frattempo Volumnio era occupato nella spedizione nel Sannio e,
dopo aver costretto l'esercito sannita a riparare sul monte Tiferno, lo
travolgeva costringendolo alla fuga, senza lasciarsi mettere in
soggezione dalla natura impervia del terreno. Quinto Fabio, lasciato a
Decio il compito di presidiare l'Etruria col proprio esercito, riportò a
Roma le sue legioni e ottenne il trionfo su Galli, Etruschi e Sanniti. I
soldati lo seguivano nella sfilata, e nei rozzi canti militari la
valorosa morte di Decio venne celebrata non meno della vittoria di
Fabio, e tra le lodi rivolte al figlio venne richiamata la memoria del
padre, il cui sacrificio e i cui successi in campo pubblico erano stati
adesso eguagliati. Dal bottino raccolto in guerra ogni soldato ricevette
ottantadue assi di rame, un mantello e una tunica, che in quel tempo
erano riconoscimenti militari non certo disprezzabili.
Pur avendo conseguito questi successi, né in Etruria né nel Sannio c'era
ancora la pace: infatti, dopo il ritiro dell'esercito voluto dal
console, i Perugini avevano riaperto le ostilità e i Sanniti erano scesi
a compiere saccheggi in parte nel territorio di Vescia e di Formia, e in
parte nella zona di Isernia e nella valle del Volturno. A fronteggiarli
venne inviato il pretore Appio Claudio con l'esercito di Decio. Fabio,
ritornato in Etruria per il riaccendersi delle ostilità, uccise 4.500
Perugini e ne catturò circa 1.740, che vennero riscattati al prezzo di
310 assi a testa: il resto del bottino raccolto venne lasciato ai
soldati. Le truppe sannite, delle quali una parte aveva alle calcagna il
pretore Appio Claudio mentre l'altra Lucio Volumnio, raggiunsero l'agro
Stellate; lì si accamparono nei pressi di Caiazia le forze sannite
riunite, mentre Appio e Volumnio allestirono un unico accampamento. Si
combatté con estremo accanimento, perché i Romani erano spinti dal
risentimento per un popolo che si era già tante volte ribellato, mentre
i Sanniti si battevano ormai per salvare le poche speranze residue.
Vennero uccisi 16.300 Sanniti, e 2.700 fatti prigionieri. Tra i Romani i
caduti furono 2.700. Se quell'anno fu fortunato per i successi in campo
militare, a funestarlo e a turbarne la serenità furono una pestilenza e
una serie di prodigi. Arrivò infatti la notizia che in molti luoghi era
piovuta terra e che numerosi soldati dell'esercito di Appio Claudio
erano stati colpiti da fulmini: per queste ragioni vennero consultati i
libri sibillini. Quell'anno Quinto Fabio Gurgite, figlio del console,
condannò al pagamento di un'ammenda alcune matrone riconosciute
colpevoli, al cospetto del popolo, del reato di adulterio, e col denaro
ricavato fece edificare il santuario di Venere che sorge accanto al
Circo Massimo. Erano ancora in corso le guerre contro i popoli del
Sannio, delle quali stiamo parlando già da quattro libri e per la durata
di quarantasei anni, a partire dal consolato di h, che furono i primi a
guidare le legioni nel Sannio. E per non passare in rassegna le disfatte
subite da una parte e dall'altra e i disagi sopportati - che però non
riuscirono a fiaccare quei temperamenti tenaci -, basterà ricordare che
nel corso dell'ultimo anno i Sanniti erano stati sconfitti a nell’agro
Sentinate (in Sentinati agro), nel territorio dei Peligni, sul Tiferno e
nell'agro Stellate, o da soli o insieme con altri popoli, ad opera di
quattro eserciti e quattro comandanti romani; che avevano perso il loro
comandante più capace, che vedevano Etruschi, Umbri e Galli, i loro
alleati, ridotti nelle stesse condizioni in cui essi stessi versavano;
che ormai non erano in grado di sostenersi né con le proprie forze né
con quelle degli altri. Eppure non volevano rinunciare allo scontro.
Tanto lontani erano dal rinunciare a difendere la propria libertà, anche
se con scarso successo, e preferivano uscire battuti piuttosto che
abbandonare un tentativo di successo. Chi mai potrebbe stancarsi,
scrivendone o leggendone, della lunghezza di quelle guerre, che non
riuscirono a stancare gli uomini che le combatterono?
Postumio, l'altro console, visto che nel Sannio non aveva più materia di
guerra, guidò il suo esercito in Etruria, e in un primo tempo mise a
ferro e fuoco il territorio dei Volsinii. Poi, a breve distanza dalle
mura, si scontrò coi nemici usciti in campo aperto per difendere le
proprie terre. Vennero uccisi 2.800 Etruschi; gli altri scamparono
grazie alle città che si trovavano nei dintorni. L’esercito venne poi
portato nel territorio di Ruselle, e lì non ci si limitò a saccheggiare
le campagne, ma venne anche espugnata la città. Più di 2.000 uomini
vennero fatti prigionieri, mentre di poco inferiori per numero furono
quelli uccisi lungo le mura. Ciò non ostante la pace ottenuta in Etruria
fu maggiore motivo di gloria e più determinante rispetto alla guerra
portata quell'anno: tre città potentissime, tra le più in vista
dell'Etruria - ossia Volsinii, Perugia e Arezzo -, chiesero la pace, e
dopo essersi accordate col console nel garantire vestiti e viveri
all’esercito purché fosse loro concesso di inviare ambasciatori a Roma,
ottenero una tregua quarantennale. A ciascuna venne comminata un'ammenda
di 500.000 assi, da pagare in contanti. Poiché il console, più per
abitudine che per speranza di ottenerlo, aveva chiesto al senato il
trionfo per questi successi, vedendo che alcuni erano propensi a non
concederglielo perché aveva impiegato troppo tempo a uscire dalla città,
mentre altri si opponevano perché si era trasferito dal Sannio in
Etruria senza la relativa autorizzazione del senato - e si trattava o di
suoi nemici o di amici del collega decisi a consolarlo con un identico
rifiuto -, disse: "Io non sarò, o senatori, tanto rispettoso della
vostra autorità, da scordarmi della mia carica di console. In virtù
della stessa autorità con la quale ho condotto le guerre, portandole a
termine con esito positivo, dopo aver sottomesso il Sannio e l'Etruria,
e aver ottenuto la vittoria e la pace, celebrò il trionfo". E dopo aver
pronunciato queste parole, abbandonò il senato. Ne nacque una
controversia tra i tribuni della plebe: alcuni sostenevano che avrebbero
posto il veto, per evitare che quel suo trionfo venisse a costituire un
pericoloso precedente, mentre altri dichiararono che avrebbero fatto
ricorso al diritto di intercessione in favore del trionfatore contro i
loro colleghi. La questione venne sottoposta al giudizio del popolo e fu
chiamato il console: questi, dopo aver ricordato che i consoli Marco
Orazio e Lucio Valerio, e poco tempo prima Gaio Marcio Rutulo, padre del
censore in carica, avevano trionfato per volere del popolo e non per
decreto del senato, dichiarò che anche lui avrebbe presentato la cosa al
giudizio del popolo, se solo non avesse saputo che certi tribuni della
plebe al servizio degli ottimati si sarebbero opposti alla proposta. Per
lui, in quel preciso momento e per i giorni a venire, la volontà e il
favore del consenso popolare avrebbero contato più di qualunque decreto.
Il giorno successivo, con il sostegno di tre tribuni della plebe contro
il veto di sette e la volontà del senato, il console celebrò il proprio
trionfo con un grande concorso di popolo. Anche sulle vicende di
quell'anno la tradizione storica non è concorde. Claudio sostiene che
Postumio, conquistate alcune città del Sannio, venne poi sconfitto e
sbaragliato in Apulia, e costretto a rifugiarsi ferito e con pochi
uomini a Luceria. A condurre la campagna in Etruria sarebbe stato Atilio
che avrebbe riportato il trionfo. Fabio scrive invece che entrambi i
consoli combatterono nel Sannio e presso Luceria, e che l'esercito venne
poi portato in Etruria, senza però specificare da quale dei due consoli;
che presso Luceria le perdite furono gravi da entrambe le parti, e che
il tempio a Giove Statore venne promesso in voto durante quella
battaglia. Il tempio l'aveva promesso già Romolo in passato, ma fino a
quel momento era stato consacrato solo lo spazio sui cui doveva sorgere
il sacrario: quell'anno finalmente il senato, già vincolato per la
seconda volta dallo stesso voto e preso come fu da uno scrupolo di
natura religiosa, decretò che il tempio venisse effettivamente
edificato”.
L’ANALISI DEL RACCONTO DI TITO LIVIO
19,IX .Restano da confrontare le forze messe in campo dalle due parti:
il numero e la qualità degli uomini, l'entità dei contingenti ausiliari.
Nei censimenti di quell'epoca i cittadini romani ammontavano a 250.000
unità: di conseguenza, anche nell'eventualità che tutti gli alleati
latini si fossero dissociati in massa, la sola leva dei cittadini romani
avrebbe permesso l'arruolamento di dieci legioni. In quegli anni spesso
accadeva che partissero per il fronte quattro o cinque eserciti per
volta, in Etruria, in Umbria (dove ai nemici si erano aggiunti i Galli),
nel Sannio e in Lucania. In séguito, in tutto il Lazio, con i Sabini, i
Volsci, gli Equi, nell'intera Campania, in parte dell'Umbria e
dell'Etruria, tra i Piceni, i Marsi, i Peligni, i Vestini e gli Apuli, e
lungo tutta la costa tirrenica abitata da Greci, da Turi fino a Napoli e
Cuma e di lì fino ad Anzio e Ostia, Alessandro avrebbe trovato validi
alleati oppure nemici già sconfitti in guerra.
T.Livio mette in evidenza la preponderanza, la mobilità e la compattezza
degli eserciti italici compresi i Galli nel contrastare l’espansione
romana.
37,IX. Invece di porre termine alla guerra, questa spedizione del
console ne aveva ampliato il raggio: infatti le genti che abitavano ai
piedi dei monti Cimini erano state gravemente danneggiate dalle
incursioni romane, e avevano contagiato con il loro risentimento non
solo i popoli dell'Etruria, ma anche quelli confinanti dell'Umbria. Per
questo motivo misero insieme nei pressi di Sutri un esercito più
numeroso di quanto non avessero mai fatto prima, e non si limitarono
soltanto a trasferire l'accampamento al di là della selva ma, per
l'impazienza di arrivare allo scontro, portarono anche l'esercito nella
pianura.
Livio evidenzia la partecipazione degli Umbri al conflitto con Roma e
conferma che gli Umbri erano agguerriti come i loro alleati e motivati a
contrastare il loro nemico .Queste righe allontanano i dubbi sulla
partecipazione degli Umbri alla battaglia di Sentino.
10,X …..Ma mentre erano impegnati in queste faccende, un grosso
contingente di Galli fece ingresso nel loro territorio, distogliendoli
per qualche tempo dai loro progetti. Ricorrendo al denaro, di cui
disponevano in grande quantità, cercarono di trasformare i Galli da
nemici in amici, in maniera da poter affrontare la guerra con Roma
contando sul loro appoggio militare. I barbari non negarono l'alleanza,
limitandosi a trattare sul prezzo. Dopo aver negoziato e ricevuto quanto
richiesto, quando ormai tutto era pronto per la guerra e gli Etruschi li
invitavano a seguirli, i Galli negarono di aver pattuito il compenso per
fare guerra ai Romani, sostenendo invece che la somma era stata riscossa
per non saccheggiare il territorio etrusco e non tormentarne gli
abitanti col ricorso alle armi. In ogni caso, se proprio gli Etruschi
insistevano, i Galli avrebbero partecipato alla guerra, ma solo a patto
di ottenere parte del territorio etrusco, in modo da potersi finalmente
stanziare in una sede sicura. I popoli dell'Etruria organizzarono
parecchie assemblee per prendere una decisione in proposito, senza però
arrivare a risultati concreti, e non tanto perché non si sentissero di
accettare una riduzione del loro territorio, quanto perché tutti
inorridivano all'idea di avere come vicini un popolo tanto feroce. I
Galli vennero così congedati, con una grossa somma di denaro conquistata
senza correre rischi e senza fatica alcuna. A Roma la notizia
dell'allarme da parte dei Galli alleati agli Etruschi seminò il panico.
Fu per questo che col popolo dei Piceni venne stipulato un trattato in
tempi ancora più brevi.
Lo storico evidenzia l’inaffidabilità dei Galli sull’alleanze con gli
Etrusca ,ma nonostante ciò è un popolo comodo per sconfiggere Roma e
quindi c’è una certa tolleranza da parte degli Etruschi. Comunque
l’evidenza di Livio a sottolineare la paura dei Romani sul popolo Senone
tanto da creare l’allarmismo dell’Urbe . C’è la precipitosa alleanza dei
Piceni con i Romani.
13,X Nello stesso anno fu fondata una colonia a Carseoli, nel
territorio degli Equicoli. Il console Fulvio celebrò il trionfo sui
Sanniti. Quando le elezioni dei consoli erano ormai alle porte, cominciò
a circolare la voce che Etruschi e Sanniti stavano allestendo grossi
eserciti. Si diceva che in tutte le assemblee i capi etruschi venivano
attaccati senza mezzi termini per non essere riusciti a trascinare in
nessun modo i Galli in guerra, i magistrati sanniti per aver gettato
allo sbaraglio contro i Romani l'esercito che era stato raccolto contro
i Lucani. E così i nemici, unendo le proprie forze a quelle degli
alleati, stavano per sollevarsi in guerra, e i Romani dovevano
affrontare uno scontro impari.
Gli alleati stanno preparando un grosso esercito. Livio evidenza il
risentimento dei Sanniti sugli Etruschi per non trascinare i Galli in
Guerra.
Comunque il conflitto era vicino e per Roma si preparava un’impresa
impossibile. Forse lo scrittore vuole drammatizzare al massimo il
conflitto in modo che al termine del conflitto può dare maggiore gloria
alle legioni romane.
16,X….. Sapevano che era la gente più ricca d'Italia(Etruschi) quanto
ad armi, uomini e denaro, e che come vicini avevano i Galli, un popolo
nato tra il ferro e le armi, già disposto alla guerra per la sua stessa
natura, e in particolare nei confronti dei Romani, che essi ricordavano,
certo senza vana millanteria, di aver sottomesso e obbligato a un
riscatto a peso d'oro. Se solo negli Etruschi albergava ancora lo
spirito che in passato aveva animato Porsenna e i suoi antenati, non
mancava nulla perché essi, cacciati i Romani da tutta la terra al di qua
del Tevere, li costringessero a lottare per la propria salvezza, invece
che per un insopportabile dominio sull'Italia. L'esercito sannita era
lì, pronto per loro, con armi e denaro per pagare i soldati, disposto a
seguirli su due piedi, anche se avessero voluto portarlo ad assediare
addirittura Roma.
Livio evidenzia un popolo Etrusco molto potente e temibile che poteva
benissimo comprare i mercenari Galli e i Sanniti. Rende evidente che
l’Etruria è il popolo chiave da sconfiggere .
Perché quando parla dei vicini Galli non distingue se erano Boi o Senoni
?
Nella frase successiva richiama l’assedio di Roma e ci riporta a Brenno
ed i Senoni. I Galli era un popolo nato tra il ferro e le armi,forse
Livio vuole intendere che oltre a mercenari erano anche dei fabbricatori
d’ armi?
18,X Mentre nel Sannio venivano compiute queste imprese (non importa
sotto il comando e gli auspici di chi), in Etruria molti popoli stavano
preparando una grossa guerra contro i Romani; la mente dell'operazione
era il sannita Gellio Egnazio. Quasi tutti gli Etruschi avevano deciso
di prendere parte a quel conflitto, che aveva contagiato le popolazioni
della vicina Umbria, e anche truppe ausiliarie formate da Galli attirati
dai soldi.
Di nuovo Livio evidenzia la preparazione dei popoli Etruschi alla guerra
sotto il
coordinamento del sannita Gallio Egnazio e rafforza la testimonianza
della partecipazione degli Umbri e dei Galli considerati come truppe
ausiliarie mercenarie e non un esercito organizzato.
20,X Mentre entrambi i consoli e tutte le forze romane erano
impegnati sul fronte della guerra etrusca, i Sanniti, allestito un nuovo
esercito, cominciarono a mettere a ferro e fuoco i territori soggetti al
dominio romano: scesi in Campania e nell'agro Falerno attraverso il
territorio dei Vescini, colsero un ingente bottino. Mentre Volumnio
stava rientrando nel Sannio a marce forzate - per Fabio e Decio si stava
già infatti avvicinando il termine della proroga dell'incarico -, le
notizie relative all'esercito sannita e alle devastazioni nel territorio
campano lo fecero deviare per andare a proteggere gli alleati…..
Gli alleati cercano d’impegnare il nemico in più fronti ed i Sanniti
iniziano l’offensiva in Campania e nel territorio dei Vescini.
21,X La spedizione nell'agro campano aveva suscitato grande
trepidazione a Roma. Inoltre, proprio in quei giorni, dall'Etruria era
arrivata la notizia che dopo la partenza dell'esercito di Volumnio gli
Etruschi erano corsi alle armi, e che Gellio Egnazio, comandante dei
Sanniti, cercava non solo di spingere gli Umbri alla ribellione ma anche
di allettare i Galli con la promessa di una grossa ricompensa……
Livio fa intendere che Gallio Egnazio oltre a coinvolgere gli Umbri
riteneva necessario far entrare nel conflitto anche i Galli come
mercenari. Perciò afferma che gli alleati avevano un’armata superiore,di
numero, ai Romani e potevano colpire da nord con gli Etruschi, da sud
con i Sanniti e da est con i Galli Senoni.
21,X….. A distogliere il senato da questi problemi furono la guerra
in Etruria, che stava diventando sempre più preoccupante, e i frequenti
messaggi di Appio che consigliava con insistenza di non trascurare i
moti di quella regione: quattro popoli - Etruschi, Sanniti, Umbri e
Galli - stavano unendo in grado di contenere tutta quella massa di
armati. Per questo motivo, e anche per presiedere le elezioni (la data
era già alle porte), venne richiamato a Roma il console Lucio Volumnio.
Questi, prima di chiamare le centurie al voto, dopo aver convocato
l'assemblea generale, pronunciò un lungo discorso sulla gravità della
guerra in Etruria. Disse che fino a quel momento, fino a quando cioè
aveva gestito insieme al collega la campagna in Etruria, la guerra era
stata così dura, che per sostenerla non erano stati sufficienti un unico
comandante e un unico esercito. In séguito, stando a quanto si diceva,
si erano aggiunti gli Umbri e i Galli con un grosso esercito. Tenessero
bene a mente, quindi, che quel giorno venivano scelti i consoli
destinati a fronteggiare quei quattro popoli. Personalmente, se non
fosse stato convinto che il voto del popolo stava per designare al
consolato l'uomo che in quel momento era giudicato senza alcun dubbio il
miglior generale a disposizione, lo avrebbe nominato immediatamente
dittatore.
Livio conferma la presenza della lega Italica nella regione Etruria
,formata da quattro eserciti: Etruschi,Galli,Sanniti e Umbri.
25,X ..Tutti i giovani si presentarono di corsa al console,
arruolandosi ciascuno di sua spontanea volontà, tanto grande era il
desiderio di prestare servizio militare agli ordini di quel generale.
Circondato da questa massa di giovani, Fabio disse: "Ho intenzione di
arruolare soltanto 4.000 fanti e 600 cavalieri. Porterò con me quanti
daranno i loro nomi tra oggi e domani. A me preme più riportarvi in
patria ricchi dal primo all'ultimo, piuttosto che fare la guerra con
molti soldati". Partito con un esercito adatto alle esigenze del momento
e formato da uomini che erano tanto più fiduciosi e sicuri per il fatto
che non era stata richiesta una grande quantità di uomini, si diresse in
fretta al campo del pretore Appio, nei pressi della città di Aharna, che
non distava molto dalle posizioni nemiche.
Fabio fa un arruolamento di qualità e affidabilità. Parte in fretta
verso il campo militare del pretore Appio che si trovava nei pressi di
Arna (Civitella d’Arno)ad est di Perugina, nodo di strade provenienti da
Cortona,Chiusi, Gubbio e Foligno,Tale località si trovava nei pressi di
Perugia.
25,X…. Il giorno dopo il campo venne spostato e il pretore Appio fu
rispedito a Roma. Da quel momento i Romani non posero un campo stabile
da nessuna parte: l'idea di Fabio era che a nessun esercito giovasse lo
star fermo, e che anzi le marce e i cambiamenti di zona facessero
acquistare in mobilità e in salute. Le marce, tuttavia, duravano quanto
lo permetteva l'inverno non ancora concluso. All'inizio della primavera
Fabio lasciò la seconda legione a Chiusi - un tempo chiamata Camars - e,
affidato l'accampamento a Lucio Scipione coi gradi di propretore,
rientrò a Roma per tenervi un consiglio di guerra…….
Fabio cambia tattica e rende l’esercito più mobile per tutto l’inverno.
All’inizio della primavera del 295 lascia la seconda legione a Chiusi in
Etruria al comando di Lucio Scipione e rientra a Roma.La mobilità
dell’esercito in quell’inverno probabilmente fu svolta nell’area tra
Arna e Chiusi , dove si poteva prevenire controllare l’arrivo degli
eserciti alleati.
In alcuni autori ho trovato che Fabio e Decio partirono alla volta
dell'Etruria subito dopo essere entrati in carica, senza però alcun
accenno al sorteggio delle zone di operazione e ai dissapori tra i
colleghi di cui ho già parlato.
Fabio e Decio partono per l’Etruria senza notizia sulla direzione
finale.
…Ma prima che i consoli arrivassero in Etruria, nei pressi di Chiusi
comparve una massa di Galli Senoni, le cui intenzioni erano di attaccare
l'esercito e l'accampamento romani. Scipione, che aveva il comando del
campo, volendo sopperire all'inferiorità numerica con il favore della
posizione, fece salire l'esercito su un'altura che si trovava tra la
città e l'accampamento. Ma dato che nella fretta non aveva potuto fare
controllare il percorso, raggiunse una cima che era già stata occupata
dal nemico, salito dalla parte opposta. Così la legione, schiacciata da
ogni parte dai nemici, fu presa alle spalle e sopraffatta. Alcuni autori
sostengono che quel contingente fu completamente annientato, al punto
che non rimase in vita un solo soldato in grado di riferire la notizia
della disfatta, e che i consoli, essendo ormai nei pressi di Chiusi, non
ricevettero alcuna informazione su quel disastro fino al momento in cui
non videro coi propri occhi i cavalieri dei Galli che portavano le teste
dei romani uccisi appese al petto dei cavalli e conficcate sulle lance,
e si esibivano nei loro caratteristici canti di trionfo. Stando ad altri
autori, i nemici sarebbero stati Umbri e non Galli, e la sconfitta
avrebbe avuto altre proporzioni: a rimanere circondato sarebbe stato un
reparto di soldati addetti al foraggiamento agli ordini del luogotenente
Lucio Manlio Torquato, e il propretore Scipione sarebbe intervenuto con
rinforzi dall'accampamento, e dopo aver riequilibrato le sorti della
battaglia avrebbe piegato gli Umbri già vincitori, togliendo di nuovo
dalle loro mani i prigionieri e il bottino. Tuttavia è più aderente alla
verità dei fatti che a infliggere questa disfatta ai Romani siano stati
i Galli e non gli Umbri, perché - come già successo molte altre volte in
passato- anche quell'anno Roma venne invasa da un'ondata di panico
dovuto alla minaccia gallica.
Prima che Fabio e Decio arrivassero in Etruria (erano in marcia), a
Chiusi vi fu l’annientamento della legione di Scipione e i consoli
arrivati nei pressi di Chiusi non ricevettero nessuna informazione sul
fatto fino a che non arrivarono proprio a Chiusi e con i loro occhi si
resero conto del fatto. Qui’Livio aggiunge un’altra informazione presa
da altri autori in cui ridimensiona il fatto come uno scontro più lieve
e dice secondo le altre fonti che l’attacco non fu fatto dai Galli ma
dagli Umbri. Comunque secondo lui furono i Galli e non gli Umbri perché
in passato ci furono altri tentativi dei Galli di invadere Roma.
Ci si domanda :perché Livio vuole mettere sempre in evidenza la minaccia
Gallica su Roma e in questo passo ritiene la presenza di questo popolo a
Chiusi e non gli Umbri?Da dove provenivano questi Galli arrivati in
Etruria?
Facevano parte della coalizione o erano altri che giravano per l’Etruria
a loro piacimento? Se erano della coalizione perché presero questa
iniziativa?
Ciò lascia pensare che la coalizione non era ancora formata al punto
stabilito e i Galli dovettero fermare le armate romane.
26,X Così, mentre entrambi i consoli erano già partiti alla volta del
fronte con quattro legioni, un massiccio contingente di cavalleria
romana, 1.000 cavalieri campani forniti per quel conflitto, e un
esercito di alleati e di Latini numericamente superiore a quello romano,
non lontano da Roma altri due eserciti vennero collocati di fronte
all'Etruria, uno nel territorio dei Falisci, l'altro nell'agro Vaticano.
I propretori Gneo Fulvio e Lucio Postumio ricevettero la disposizione di
accamparsi stabilmente in quelle zone.
Perché Fabio pone due legioni di fronte all’Etruria quando le quattro
legioni erano a Chiusi ? Prevedeva già una sconfitta e le due legioni
avrebbero fermato l’assedio di Roma oppure era già previsto lo
stratagemma di spostare rapidamente le due legioni in Etruria e Umbria?
27,X. Valicato l'Appennino, i consoli raggiunsero i nemici nel
territorio di Sentino, e si accamparono a circa quattro miglia da loro.
Tra i nemici ci furono quindi riunioni, nelle quali venne deciso di non
mescolarsi in un unico accampamento e di non dare battaglia tutti
insieme. I Galli vennero aggregati ai Sanniti, gli Umbri agli
Etruschi…..
… I consoli inviarono una lettera rispettivamente a Fulvio e a Postumio:
le disposizioni erano di abbandonare la zona di Faleri e l'agro
Vaticano, e di portare i loro eserciti a Chiusi, mettendo a ferro e
fuoco con la massima violenza il territorio nemico. La notizia di queste
incursioni costrinse gli Etruschi a lasciare la zona di Sentino per
andare a proteggere il proprio paese.
Perché Livio sposta improvvisamente il teatro delle operazioni
nell’altro versante degli Appennini?
Cosa intende con il termine valicato gli appennini? Il passaggio dei
monti in direzione della Gallia Senonia o da Chiusi (378 m) verso le
alture di Chianciano (.504 m),Montepulciano(605 m) per arrivare nella
piana di Sentino delle Serre di Rapolano(SI) ,compresa tra Siena,Arezzo
e Perugia?
Le altre due legioni Romane dovevano distruggere i territori di
Chiusi,alle spalle di Fabio e Decio Mure ?
Da dove passarono gli eserciti Etruschi ed Umbri per andare a difendere
i loro territori che erano alle spalle di Fabio?
Parlando del territorio di Chiusi sembra che l’esercito Etrusco era in
prevalenza formato da Chiusini e forse Perugini.
Se lo scontro fosse avvenuto a Sentino di Rapolano lo scopo dei Romani
fu
risolto in parte.
Dopo Sentino nel versante Senone non vi fù più uno scontro decisivo
contro i Galli che permise ai vincitori di dettare dure condizioni
all’avversario.
La rapida colonizzazione della Gallia Senonia è la dimostrazione che la
battaglia si svolse nel territorio Umbro-Senone con la fondazione delle
colonie militari di Sena Gallica nel 283 a.C., Ariminum nel 268 a.C. e
con la lex Flaminia del 232 a.C. iniziò una massiccia colonizzazione
dell’Ager Gallico e Piceno.
Ritornando al passaggio dell’Appennino, probabilmente Fabio una volta a
Chiusi decise rapidamente di attaccare l’ avversario non in Etruria ma
in Umbria nel cuore dei Senoni acerrimi nemici di Roma,popolo mercenario
che scorazzava dove voleva dall’Umbria al Piceno all’Etruria,arrivando
da qualsiasi direzione. Il percorso preso dai consoli fu probabilmente
il più sicuro che da Chiusi attraverso la via di Perugia, Foligno
,valicarono l’Appennino al passo di Colfiorito(o la via di Todi, Massa
Martana, Mevania Foligno o Massa Martana ,Spoleto ,Foligno).
Presero in direzione di Camerino, loro alleata e attraverso la valle
Esina raggiunsero l’agro dei Sentinati Umbri. In alternativa potrebbero
aver preso la via della Valtopina e valicato l’Appennino al Passo Croce
d’Appennino in territorio degli Helvillati.
“T.Livio,IX,36, anno 310 a.C.
Lì Fabio ebbe il coraggio di rivelare la loro identità e, introdotto nel
senato locale, a nome del console propose di stipulare un trattato di
amicizia e di alleanza. Gli riservarono una generosa ospitalità, e lo
pregarono di riferire ai Romani che, se il loro esercito si fosse spinto
in quella zona , avrebbe avuto a disposizione cibo per trenta giorni , e
che la gioventù degli Umbri Camerti sarebbe stata pronta a prendere le
armi agli ordini dei Romani”.
Anche la versione di Polibio se esaminata attentamente può venire
incontro a quella di Livio sempre prendendo come Camerti i Chiusini così
chiamati nella descrizione di una lapide ritrovata recentemente nei
pressi di Chiusi.
Tito Livio (Storia di Roma, 10, 25) si riferisce a Chiusi come alla
“città che una volta si chiamava Camars”.Sulla stele etrusca di Saturnia
(VI secolo a.C.), trovata da poco, compare la forma Kamarte, finora mai
attestata ed identificabile molto bene col poleonimo cui Livio fa
riferimento. Accertata l'effettiva etruscità della Camarte di Livio,
resta tuttavia difficile, anche alla luce del contesto della stele di
Saturnia, valutare l'affidabilità della notizia che ne farebbe il nome
antico di Chiusi.
Polibio 2,19,5-6 “Dopo questi fatti un‘ altra volta tre anni dopo i
Sanniti e Galli unitesi insieme si opposero ai Romani nel territorio dei
Camerti e molti ne sconfissero nel cimento . In tale occasione i Romani
,moltiplicando le loro attività di fronte alla sconfitta loro toccata
,uscirono pochi giorni dopo dagli accampamenti e, azzuffatesi con tutte
le forze nel territorio dei Sentinati (juxta sentinatem regionem) contro
i predetti ,i più ne uccisero, i rimanenti costrinsero a fuggire
precipitosamente ciascuno alle proprie dimore.”
ANALISI
“Dopo questi fatti un‘ altra volta tre anni dopo i Sanniti e Galli
unitesi insieme si opposero ai Romani nel territorio dei Camerti” : sono
i Chiusini toscani o i Camerti di Camerino?
“ molti ne sconfissero nel cimento: è la seconda legione di Scipione.
“ In tale occasione i Romani (D.Mure e Q.Fabio) ,moltiplicando le loro
attività di fronte alla sconfitta loro toccata”:Si intende che due
legioni furono appostate nell’agro Falisco e Vaticano, l’esercito di
Fabio si rese più mobile ed escogitò la spedizione in Umbria.
“ uscirono pochi giorni dopo dagli accampamenti”: anche Polibio cambia
all’improvviso lo scenario e racconta il confronto tra le parti ; le
legioni si erano trasferite ad est degli Appennini nel territorio dei
Sentinati Umbri, il piano di Fabio fu rapido e improvviso.
“ e, azzuffatesi con tutte le forze nel territorio dei Sentinati( juxta
sentinatem regionem) contro i predetti ,i più ne uccisero, i rimanenti
costrinsero a fuggire precipitosamente ciascuno alle proprie
dimore.”:Anche l’esercito alleato probabilmente si era spostato ad est,
in Umbria, per fermare le legioni romane dirette a Sentino.
Al termine dello scontro di Sentino l’offensiva romana si rivolse verso
l’Etruria.
IL PERCHE’ LA TESI DI SASSOFERRATO E’ PIU’ ATTENDIBILE
-i Romani avevano come alleati i Piceni ed i Camerti.
-la penetrazione in territorio marchigiano era piu’ facile.
-necessitava per i Romani aprire una via verso il nord lungo
l’Adriatico.
-Il territorio Umbro-Sentinate era un crocevia di strade ben favorevoli
per arrivare alla costa adriatica(si escludevano le gole del Furlo,Frasassi,della
Rossa,Septempeda.
-i Romani dopo lo sterminio dei Senoni fondarono le colonie di Sena
Gallica,
Ariminum, Aesis, Firmium,Spoletum e Sentis che passò da vicus a colonia
poi municipio col nome di Sentinum.
-a Sassoferrato ci sono due insediamenti che riguardano i Sentinati :
Civita di S.Lucia e Civita di Alba(Civitalba).
-i fregi di Civitalba è la testimonianza iconografica di uno scontro con
i Galli.
-la testimonianza indiretta di Procopio da Cesarea(VI sec.).
28,X D'altra parte, pur essendo incerto l'esito dello scontro, e non
ostante la fortuna non avesse ancora fatto capire verso quale delle due
parti avrebbe inclinato la sua bilancia, tuttavia all'ala destra e
all'ala sinistra il combattimento non aveva affatto la stessa intensità.
Dalla parte di Fabio i Romani difendevano più che attaccare, e lo
scontro si stava trascinando fino alle ultime luci del giorno, perché il
console era fermamente convinto che i Sanniti e i Galli erano irruenti
al primo urto, ma che poi era sufficiente resistervi: se la battaglia si
protraeva, a poco a poco l'ardore dei Sanniti veniva meno, e il fisico
dei Galli, incapaci più di ogni altro popolo di sopportare fatica e
calura, perdeva vigore col passare delle ore, e mentre all'inizio dello
scontro erano qualcosa più che degli uomini, alla fine risultavano
essere meno che donne.
In questo passo Livio mette in evidenza la profonda conoscenza di Fabio
dei Galli e i Sanniti .
29,X …. Dalla parte opposta il pontefice Livio, cui Decio aveva
affidato i littori dandogli disposizione di sostituirlo nel comando,
urlava che i Romani avevano vinto, perché con la morte del console si
erano liberati del debito nei confronti degli dèi: i Galli e i Sanniti
appartenevano ormai alla madre Terra e agli dèi Mani, Decio trascinava
con sé richiamandolo l'esercito che aveva votato in sacrificio con la
propria persona, e i nemici erano in preda al panico e alle furie. Poi,
mentre già quelli stavano riequilibrando la battaglia, dalle retrovie
arrivarono con rinforzi Lucio Cornelio Scipione e Gaio Marcio, inviati
dal console Quinto Fabio in aiuto al collega….
Da sottolineare che il successo della battaglia è stato in parte
all’abilità del pontefice Livio che prese il comando per volere di Decio
dopo il suo sacrificio.
Quando si rese conto che gli avversari non opponevano resistenza e che
davano evidenti segni di spossatezza, raccolti tutti i riservisti
(tenuti in serbo per quel preciso momento), lanciò la fanteria
all'assalto e diede ai cavalieri il segnale della carica contro il
nemico. I Sanniti non ressero l'urto: superato nella foga della
ritirata, lo schieramento dei Galli, abbandonarono gli alleati nella
mischia, correndo a perdifiato verso l'accampamento trincea, …
Nella descrizione dello scontro, Livio fa capire che gli schieramenti
dei Galli e Sanniti erano vicini in uno stesso campo di battaglia,tanto
che la ritirata dei Sanniti urtò e superò lo schieramento dei Galli
abbandonando gli alleati nella mischia.Quindi con molta probabilità la
battaglia di Sentino avvenne in un’unica pianura molto estesa.
30,X In quegli stessi giorni, anche in Etruria il propretore Gneo
Fabio condusse la campagna attenendosi ai piani convenuti, e oltre a
danneggiare il nemico devastandone le campagne, combatté pure con
successo, uccidendo più di 3.000 Perugini e abitanti di Chiusi e
catturando circa venti insegne militari. Mentre erano in fuga attraverso
il territorio dei Peligni, le truppe sannite furono circondate dai
Peligni stessi, e dei 5.000 originari ne vennero uccisi grosso modo
1.000. Anche per chi non si discosta dalla realtà dei fatti, la gloria
di quella giornata in cui ebbe luogo lo scontro di Sentino è
grandissima. ……
Livio da anche notizie in un altro scenario di guerra e dice che negli
stessi giorni in Etruria,quindi da intendere che lo scontro di Sentino
avvenne in Umbria-Senonia, si verificò positivamente il piano di Fabio
che oltre alle devastazioni attaccarono i Perugini ed i Chiusini. Quindi
è da escludere lo scontro a Sentino di Rapolano perchè non era possibile
con i fatti raccontati che più operazioni militari potessero avvenire in
un territorio ristretto dell’Etruria.
“… Quinto Fabio, lasciato il rimanente esercito di Decio il cómpito
di presidiare l'Etruria , riportò a Roma le sue legioni e ottenne il
trionfo su Galli, Etruschi e Sanniti. I soldati lo seguivano nella
sfilata, e nei rozzi canti militari la valorosa morte di Decio venne
celebrata non meno della vittoria di Fabio, e tra le lodi rivolte al
figlio venne richiamata la memoria del padre, il cui sacrificio e i cui
successi in campo pubblico erano stati adesso eguagliati. Dal bottino
raccolto in guerra ogni soldato ricevette ottantadue assi di rame, un
mantello e una tunica, che in quel tempo erano riconoscimenti militari
non certo disprezzabili”.
Fabio sposta il rimanente esercito di Decio in Etruria, ancora in
fermento, e lui personalmente va a Roma per il trionfo della battaglia
di Sentino.
Livio esclude gli Umbri nella battaglia e rende invece partecipi gli
Etruschi a Sentino.Lo storico o si contraddice o vuole inglobare nel
successo anche le campagne etrusche avvenute contemporaneamente allo
scontro di Sentino.
IL LUOGO DELLA BATTAGLIA IN UMBRIA
La battaglia di Sentino coinvolse circa 70-80.000 uomini e avvenne sul
suo territorio come scrivono gli storici Tito Livio e Polibio.
Tito Livio riporta in due frasi: "Trasgresso appennino in agrum
sentinatem pervenurent"; "Magna ejus diei, quo in sentinati agro
bellatum, fama est...”. .
La frase " in agrum sentinatem pervenurent" afferma che " arrivarono
nell'agro sentinate " ovvero nel contado o territorio di
un’organizzazione politico-sociale.
Polibio scrive: " Dopo questi fatti un'altra volta tre anni dopo i
Sanniti e Galli unitesi insieme si opposero ai Romani nel territorio dei
Camerti e molti ne sconfissero nel cimento . In tale occasione i Romani
,moltiplicando le loro attività di fronte alla sconfitta loro toccata
,uscirono pochi giorni dopo dagli accampamenti e, azzuffatesi con tutte
le forze nel territorio dei Sentinati (juxta sentinatem regionem) contro
i predetti ,i più ne uccisero, i rimanenti costrinsero a fuggire
precipitosamente ciascuno alle proprie dimore"(2,19,5-6).
La traduzione della frase di T.Livio può essere intesa secondo le
traduzioni degli storici :"in territorio sentinate"; Polibio intende
"vicino la regione dei sentinati".
Da queste fonti sembra che l’area dove si svolse lo scontro era priva di
insediamenti importantanti e consistenti ( totae,oppidum,vicus ecc)
Gli elementi per individuare il luogo della battaglia nel territorio
umbro ad oggi sono scarsi: La partecipazione della cavalleria e dei
carri da guerra indicano che lo scontro avvenne in una vasta pianura
adatta per manovre militari che coinvolsero un gran numero di mezzi,
d’uomini e di cavalli. Le scarse testimonianze archeologiche rinvenute
in diverse località dove gli storici ipotizzano sia avvenuta la
battaglia, non possono essere considerate testimonianze inconfutabili e
lasciano molte lacune.
La toponomastica dei luoghi non può risolvere la questione poiché la sua
interpretazione, il più delle volte, è inesatta, poco obiettiva perché
spesso i toponimi non hanno attinenza con la materia da noi trattata.
Malgrado ciò rimane sempre un elemento principale di ricerca che, se ben
interpretato e associato con altri dati (topografia, orografia, fonti
storiche ecc.), può contribuire a dare un apporto non indifferente per
la ricostruzione dei fatti avvenuti nell'antichità.
Si presume che erano quattro le aree pianeggianti dell'agro Sentinate:
- Il piano della Toveglia, situato ad ovest della città di Sentinum.
- La piana di Sassoferrato che si estende dal monastero di S. Crocedi
Tripozzo a Colleponi, a nord est di Sentinum.
- La piana di Serragualdo-Monterosso localizzata a nord ovest di
Sentinum.
- La piana di Fabriano, che si estende da Borgo Tufico fino a Marischio.
IL TERRITORIO MARCHIGIANO NEL IV SECOLO AVANTI CRISTO
Nel periodo che va dalla fine del IV secolo a.c. e l'inizio del III
secolo, il territorio marchigiano era abitato dai Piceni nella parte
meridionale (dall'Esino al fiume Salino- Teramo)e dai Galli Senoni nella
parte settentrionale (dall'Esino al fiume Montone- nord di Rimini).Il
fiume Esino rappresentava il confine tra il territorio dei Piceni e
quello dei Senoni. I Greci occupavano le colonie d’Ancona e Numana.
Gli Umbri vivevano nelle zone montane che dividevano l'odierno
territorio marchigiano da quello umbro. Gli stessi erano insediati nelle
principali città (Totae) come Camers, Sentino, Attidio, Ikuvio,Tadino.Gli
Umbri vivevano anche in altri insediamenti minori che all'epoca erano
considerati villaggi; fra questi ricordiamo: Nuceria, Helvillo, Luceoli,
Cale, Pitino Mergens, Tiferno Tiberino, Matilica ecc.I Galli avevano
sottomesso diversi villaggi umbri e piceni, fra i quali Sentino.
LE STRADE PER SENTINO
L’oppidum di Sentino si trovava in un'area geografica strategica dove vi
confluivano le principali strade provenienti dall'Umbria e dal Piceno
dirette verso la costa adriatica.
A maggior chiarimento si può affermare che a Sentino pervenivano:
- La Via Umbro-Picena, proveniente da
Foligno-Plestia-Camerino-Matelica-Attiggio-Civita-S. Maria di
Flexia-S.Maria di Ceppete-Aspro-Le Serre.
La Via di Helvillo-Croce d'Appennino - S.Cassiano- Bastia -
Fontanaldo-Torre-S.Maria di Ceppete-Aspro-Le Serre.
La Via di
Nocera-Dubios-Campodonico-Cancelli-Campodiegoli-S.Cassiano-Bastia-S.Maria
di Ceppete.
La Via "Gallica" di Moscano-Collegiglioni-Nebbiano-Montorso-Murazzano.
La Via : Scheggia-Gola del Corno -Gaville.
La Via : Cantiano –Valdorbia-Isola Fossara-Gaville.
Fra le vie Galliche che si dipartivano da Sentino verso il mare vanno
ricordate:
La Via di Civitalba che collegava Sena Gallica tramite le valli del Misa
e Cesano.
GLI INSEDIAMENTI SENONI
I Senoni controllavano la viabilità e i confini all'interno delle Marche
con i loro insediamenti situati nelle vicine alture di Civitalba, nella
gola di Frasassi, nella gola della Rossa, a Serra S. Quirico, Arcevia,
nelle alture a nord est di Fabriano (Moscano, Vallemontagnana,Nebbiano,Montorso).A
nord-ovest i Senoni si erano insediati lungo la catena Appenninica
Umbro-Marchigiana: sui monti Cucco, Catria e Nerone ecc.
Secondo i ritrovamenti archeologici, si può presumere che il confine
dell' "Ager Gallico", a sud ovest delle Marche seguisse le alture del
monte Le Cone, lungo la sinistra del fiume Giano, per continuare lungo
il Rio Bono, nella sua vallata, fino ad arrivare a quella di S.Cassiano.
L’importante testimonianza archeologica sulla presenza dei Galli Senoni
nelle vicinanze di Fabriano è data dai rinvenimenti avuti nella zona del
Campo Boario, non lontana dalle scoperte che avvennero nel 1899 (piana
del Sacramento).
Sono stati recuperati (da tombe) in pessimo stato di conservazione, due
calderoni di bronzo simili a quelli di S.Paolina e Numana; parte di una
casseruola ed un’olpe, sempre in bronzo, con attacco inferiore dell’ansa
a testa silenica; un fascio di spiedi di ferro.
Sentino oltre che territorio strategico per la confluenza delle
principali strade militari che dopo aver valicato gli Appennini si
dirigevano verso il mare, era considerato, molto probabilmente,
importante per i Romani, poiché nelle sue vicinanze era estratto e
lavorato il ferro; tecnologia che permetteva ai Galli e agli Umbri di
forgiare le armi con materia prima proveniente dai propri territori.
Questi due motivi spinsero i Romani a portare le loro Legioni fin nel
cuore delle Marche e a scontrarsi con i Galli e i Sanniti.
L'obiettivo di Roma era di stroncare la potenza Gallica, dividere le
popolazioni assoggettate dai Senoni ed espandersi verso il nord
dell’Italia dopo aver conquistato l’Umbria e la costa Adriatica delle
Marche.
Per i Romani controllare Sentino significava :
- contenere i movimenti dei Senoni nelle Marche.
- Chiudere le principali vie di comunicazione con l'Umbria e il Piceno.
- Garantirsi la possibilità di poter raggiungere l'Adriatico.
- Allontanare per sempre il pericolo di un assalto da parte dei Galli e
suoi alleati contro Roma.
LA GENS SENTINATE
Il nome della gens Sentinate potrebbe essere attribuito da una famiglia
d’origine Italico-Etrusca emigrata durante una Primavera Sacra(Ver
sacrum-Tav. Eugubine).
I Sentinati avevano una città(oppidum) organizzata (Totae) di nome
Sentino? oppure la gente era organizzata in villaggi collocati nell’alta
valle del fiume Sentino?
Le fonti antiche (T.Livio e Polibio) descrivendo la battagia parla di un
territorio Sentinate e non acennano all’esistenza dell’ oppidum di
Sentino.
Come riporta il Montani, le fonti in altri avvenimenti, hanno ben citato
l'assedio delle città, mentre per quanto riguarda Sentino T.Livio usa la
frase "in Agrum Sentinate" anziché "Ad Sentinam" ( lettera I - pag.13)e
Polibio dice che lo scontro avvenne “nel territorio dei Sentinati” (juxta
sentinatem regionem).
Unico documento che indica una struttura insediativa è il Liber
Coloniarum dove si indica "l'oppidum Sentis.
Non si conosce la data di fondazione della colonia romana di Sents, poi
distrutta (Sentia) nel 41 a.C. e ricostruita da Augusto(Sentinum).
L’etimologia indoeuropea di Sent significa ”sul percorso, lungo
l’itinerario”. Può anche significare rovo (Sentis)oppure come
Sentinia,Dio Giove (Aesen-tinia).In località Serre di Rapolano è
indicato il torrente Sentino e pian di Sentino.
In Etruria non si conosce città o vicus romano di nome Sentino. Tra il
Piano del Sentino e la Pieve di S. Stefano c’era il vicus
duodecimo.Altri toponimi su Sentino troviamo: Casentino ,la Rocca di
Sentino(Camerino).
Diverse famiglie della ges sentinate si trovavano in Etruria in località
Le Tombe di Sarteano (SI) dove esiste il famoso ipogeo ellenistico dei
Lars Sentinate Cumere (III sec.a.C.): Lars=Capo militare. E’ noto il
Sarcofago di Larth Sentinates Caesa della tomba della Pellegrina di
Chiusi (IV-II sec.a.C.).
Un Primiplo Sentinate lo ritroviamo in una iscrizione inedita da
Corchiano (VT) (Picus, VI (1986), pp. 129-135).
così nelle lapidi di Sentinum di Sassoferrato troviamo la forte presenza
della gens Sentinate e del nome Sentino come :[----]s, Sentino CIL VI
32520, T.f.Lem.Fortunatus,Sen(tino) CIL VI 32522,L.Senti del
95°.C.(Moneta), ; Caio Sentinate Giusto( C.I.L. 5760) scriba.
I TERRITORI DI SENTINO E ATTIDIO
Nell'area dove si svolse la battaglia s’ipotizza che esistessero due
città : Sentino e Attiggio o meglio due amministrazioni ; quella dei
Sentinati e degli Attidiati.
Della Sentino umbra non abbiamo notizie storiche. Da Polibio e da Tito
Livio apprendiamo che lo scontro avvenne nella regione o territorio dei
Sentinati.Quindi possiamo dedurre che esisteva un’amministrazione
territoriale (trifu) facente capo ad una totae(città ) di nome Sentino.
In merito ad Attidio lo storico Devoto con la traduzione delle "Tavole
Eugubine" indica l'esistenza di due "Gens" Petronia e Vovicia che
avevano in mano l'amministrazione dell’agro Attidiate.
I territori appartenenti all'insediamento umbro di Sentino si possono
ipoteticamente tracciare, in linea di massima, prendendo come
riferimento le barriere naturali (fiumi, monti ecc) e le divisioni
ecclesiastiche del medioevo (diocesi).
A nord della città, la giurisdizione di Sentino arrivava fino alle
alture del Murello, di Monterosso , di S.Donnino d’Arcevia, della valle
del Nevola e di Coldapi,Genga; lungo il corso dell' omonimo fiume fino
alla gola di Frasassi (nel periodo imperiale sono i suoi confini con i
municipi di Suasa, Ostra,Tuficum) .
I territori di Sentino ad est si estendevano fino a Genga, ad ovest, a
ridosso dei monti Catria, Strega e Cucco (confine con Ikuvio-Gubbio,
mentre a sud Sentino confinava con Attidio, tramite la valle del Rio
Bono ed aveva i possedimenti lungo il torrente Putido, Campodiegoli,
S.Cassiano, nella valle del Marena, nei pressi di Nebbiano e S.Donato.
Rimane sempre aperta l’identità dell’oppidum di Civitalba che, secondo
alcuni studiosi è identificata come la Sentino umbra, occupata nel
periodo dello scontro dai Galli Senoni.
L’AGRO SENTINATE
Nei "Ricordi Romani" il Sassi afferma che una parte dell'agro Fabrianese
era compreso "in tempi antichi nel territorio Sentinate".
Questa ripartizione si ritrova nella divisione
ecclesiastico-amministrativa del Basso Impero che, risale a sua volta a
precedenti ripartizioni e dimostra che i fiumi Giano e Rio Bono erano il
confine tra il territorio pertinente a Sentino e quello d’Attidio;
territorio passato alle dipendenze di Camerino dopo la caduta d’Attidio.
Le frazioni e le contrade vicino a Fabriano come Marischio, Melano,
Cancelli e Torrececchina erano alle dipendenze della diocesi di Nocera
che si estendeva oltre a Sassoferrato, fino alle vicinanze d’Arcevia.
Le divisioni dei territori eseguite dai Longobardi non mutarono
sostanzialmente l'aspetto giurisdizionale lasciato dai Romani che, a
loro volta, ricalcarono quelle delle città umbre erette a colonie e
municipi romani.
In epoca Augustea il territorio delle Marche era compreso nella sesta
regione “Umbria et Ager Gallico” e nella quinta regione “Piceno”. Il
riassetto amministrativo iniziato sotto Aureliano e continuato sotto
Diocleziano (297d.C.) portò alla suddivisione delle antiche e la regione
Marche fu divisa tra “Flaminia et Picenum Annonarium” distinto dal
“Picenum Suburbicarium”. Ciascuna prefettura era divisa in grandi
ripartizioni chiamate "Diocesi". Ognuna di loro rappresentava un certo
numero di province ed era paragonabile alle più importanti tra le
vecchie province del tempo della Repubblica e del Primo Impero. Nel
nostro caso l'Italia rappresentava una sola provincia, ma ebbe due
vicari: uno con sede a Milano, l'altro a Roma.
Alla fine del IV secolo d.C. il vicariato di Roma si divideva in varie
provincie ed il territorio di Sentino faceva parte di quella della
Tuscia-Umbria, confinante con quella del Piceno ad oriente, della
Valeria - Campania a sud, dell'Emilia e Flaminia a nord.
Il laicato al tempo della chiesa primitiva era diviso in comunità locali
(Plebi) e il clero era rappresentato da un vescovo eletto dal popolo che
esercitava le sue funzioni nelle comunità cristiane. Tutte le località,
per editto imperiale, furono elevate a rango di città; molto
probabilmente la definizione dei confini ecclesiastici ricalcava le
strutture civili e amministrative romane ( concili del 381 d.C. e
451d.C.). Il Vicariato di Roma aveva 10 provincie suburbicarie che
comprendevano sia l'Italia Centrale che quella Meridionale.
Il territorio di Sentino, occupato dai Longobardi durante il VII secolo,
coincideva in linea di massima con la suddivisione romana della Civitas,
il cui centro era costituito da una cittadella fortificata (Fara).Stessa
sorte ebbero le proprietà della chiesa cattolica.
Nel ducato Longobardo di Spoleto, Faroaldo insediò un vescovo Ariano,
facendo del Vescovado il centro dello stesso ducato.
Il territorio di Fabriano era la zona d’incontro di tre gastaldati
longobardi del ducato di Spoleto: Castel Petroso, Camerino e Nocera.
Quest'ultimo comprendeva gran parte del territorio della zona
appenninica tra Fossato, Fabriano, Sassoferrato e Arcevia. A questo
proposito si evidenzia che nel 1984 nell'ambito di una migliore
organizzazione ed armonizzazione delle parrocchie con il territorio si
ebbero scorpori da una diocesi all'altra.
Infatti dalla diocesi di Nocera Umbra furono scorporate le parrocchie di
Bastia, Belvedere, Cancelli, Campodiegoli, Campodonico, Coccore, Melano,
Rucce, Viacce, S.Donato, Serradica, Cacciano, Varano, Marischio e i
relativi "paesi" che furono incorporate all' odierna Diocesi di
Fabriano.
Con lo stesso decreto emanato dalla Santa Sede furono scorporate dalla
diocesi di Nocera le seguenti parrocchie: S.Pietro, S.Facondino,
Cabernardi, Castagna, Casalvento, Castiglioni, Coldapi, Coldinoce,
Frassineta, Liceto, Gaville, Montelago, Monterosso, Morello, Perticano,
S.Egidio, S.Felice, Venatura e i relativi "paesi" ed incorporate alla
Diocesi dell'odierna Sassoferrato.
Furono scorporate dalla diocesi di Camerino le seguenti parrocchie: Casa
Montana, S.Donnino, Rocchetta, Colleponi e relativi "paesi". Tali
parrocchie furono incorporate alla Diocesi di Genga.
Dalla Diocesi di Camerino furono scorporate le seguenti parrocchie:
Murazzano, Scorzano e relativi "paesi" che furono incorporate nella
diocesi di Sassoferrato. Da quanto sopra si evince che numerose località
facevano parte della diocesi di Nocera Umbra e quindi della stessa
antica provincia Romana.
Si può pertanto osservare che gran parte del territorio Fabrianese e
Sassoferratese fosse unito in una grande diocesi ecclesiastica facente
parte di una considerevole provincia Romana.
Poiché Roma, nell’assegnazione delle terre, rispettò sempre le unità
fondiarie, può desumersi che ci ritroviamo di fronte all'assetto
territoriale preromano.
La suddivisione della Marca Anconetana e Fermana è una valida
testimonianza per comprenderne l'assetto territoriale attraverso i
secoli. Infatti dagli studi del Moroncelli, attraverso la sua carta
topografica del 1711 apprendiamo che se la bassa valle del Giano -
escluso Cancelli faceva parte della diocesi di Camerino (Cortina
S.Venanzo) dobbiamo ammettere che questi territori in precedenza
facessero parte in un primo tempo della giurisdizione umbra d’Attidio, e
poi di quella romana d’Attidium confinante con la catena montuosa a nord
del fiume Giano e che si conclude con il colle di Civita dominante la
conca di Fabriano.
Tutto il territorio a nord di Civita, contraddistinto dalla vallata del
rio Bono, del torrente Putido, del rio Marena e del fiume Sentino,
faceva parte della diocesi di Nocera e, quindi, ricadeva nella stessa
giurisdizione Romana di Sentinum e preromana dei Sentinati.
Dai rinvenimenti di necropoli Galliche in territorio di Fabriano e
precisamente nelle zone del Foro Boario, Sacramento e S.Cassiano, si
deduce che i Senoni occupanti la valle del Sentino seppellivano i loro
morti anche nell'area di Fabriano. Ciò era nel loro pieno diritto,
poiché questa parte del territorio fabrianese faceva parte dell' "Agro
Sentinate" almeno fino alla confluenza del Rio Bono, Putido e Giano.
Anche il ritrovamento d’epigrafi Sentinate a S. Donato (CIL
5758,5773,5783) e Nebbiano (CIL 5740 e 5755), e la presenza di numerosi
toponimi prediali di gentilizi in questa zona fanno presumere che i
Sentinati possedevano dei fondi nel territorio di Fabriano.
L’AGRO ATTIDIATE
Attidio si trovava a ridosso dell'Appennino nelle alture d’Acquatina a
sud est di monte Fano. I suoi territori confinavano a nord con l'agro
Sentinate, comprendevano parte dell'area di Fabriano situata alla destra
del Giano. Nel medioevo fino al 1253 la gente di Fabriano nata alla
destra del fiume Giano era battezzata nella chiesa madre di S.Giovanni
d’Attiggio,facente parte della diocesi di Camerino. Ad ovest i territori
terminavano con la catena appenninica nelle zone di Cancelli (la chiesa
della S.S.Trinità di Camporege dipendeva dal pievano d’Attiggio) e
Trufigno (tre confini). Ad est e sud-est confinava con Matilica e Tufico
(i confini lambivano le aree di Cerreto, Collamato, S.Michele ed
Argignano).
L’AGRO TUFICANO
Riguardo alla città di Tufico, d’origine umbra, non disponiamo di
testimonianze archeologiche. Le informazioni su detta città ci sono
pervenute attraverso la Storia Naturale III dove Plinio ci fa sapere che
"nella regione Umbra si trovavano delle cittadelle fortificate, fra le
quali quella dei Tuficani". La sua storia si conosce fino al II-I secolo
a.C. e probabilmente nel IV sec. a.C. era un’insieme di villaggi Umbro –Piceni
dislocati alla confluenza del Fiume Giano con l’Esino.Nel periodo romano
fu
probabilmente un’importante vicus poi divenuto colonia e municipio.
Si presume che la sua giurisdizione nel periodo Romano (II-I secolo
a.C.) ricalcava quella Umbra, sempre nell'ipotesi che essa esistesse
come città stato. Se ciò fosse confermato i suoi territori si sarebbero
estesi a nord fino a S.Vittore delle Chiuse, Pierosara e la Gola della
Rossa (confine con Aesis-Jesi e Cupra-Cupramontana). Ad est fino alla
Castelletta, Valdicastro e Ficano (Poggio S.Vicino - confine con Cupra).
A sud, sud-ovest confinava con l'agro Attidiate e Matelicese (confini:
aree di Cerreto d'Esi, alture delle Serre, Argignano, monte Rustico,
piana dei Tiberi,Campo d'Olmo, fiume Burano e la bassa valle del Giano).
Ad ovest probabilmente i possedimenti di Tuficum si estendevano nelle
alture dei monti le Cone,Rimosse,Vallemontagnana e potevano confinare
con Sentinum nelle aree del colle di S.Lucia e Collegiglioni.
Questi confini si ritrovano nei possedimenti del gastaldato di Castel
Petroso (Pierosara).Difatti esaminando le Carte di S.Vittore ritroviamo
i possedimenti dell’abbazia proprio nelle aree dei confini sopra detti e
conferma che nell’alto medioevo le divisioni fatte dai Longobardi hanno
rispettato i territori dell’antico municipio di Tuficum, incorporati
nella contea e diocesi di Camerino.
L’AGRO FABRIANESE NEL QUARTO SECOLO AVANTI CRISTO
L'area di Fabriano era abitata da gente d’origine prevalentemente
Umbro-Picena insediata in modesti villaggi sparsi nelle alture di Civita
- lungo le sponde del fiume Giano nell'area dell'odierno rione di S.
Maria Maddalena e S.Lorenzo. Il termine dell’agro Attidiate nella
pianura fabrianese non è ancora ben definito; unica traccia dei confini
sono le suddivisioni ecclesiastiche delle diocesi che con il tempo si
sono modificate.
Come riportano le carte di S.Vittore, la sponda destra del fiume Giano,
nell’alto medioevo dipendeva dalla diocesi di Camerino. Difatti la
chiesa di S.Lorenzo situata vicino le vecchie cartiere Miliani dipendeva
da S.Vittore e faceva parte dell’amministrazione del gastaldato di
Pierosara. Ipotizzando che le divisioni amministrative dell’alto
medioevo ricalcavano quelle romane, il territorio nei pressi della città
di Fabriano in epoca medievale era in gran parte di pertinenza dell’agro
Tuficano.
Di recente è stato individuato un frammento di un cippo adibito a “fines”(confine)
nei pressi dei giardini pubblici di Fabriano ,lungo la strada che porta
all’eremo di S.Silvestro. Ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi che a sud
del rione “Piano” era il termine delle amministrazioni dei municipi di
Tuficum e Attidium.
Insediamenti Piceni si trovavano nella zona di S.Maria in Campo,
nell'odierna stazione ferroviaria, nella contrada del Sacramento e del
Maragone i cui reperti archeologici sono stati datati del VII-VI sec.
a.C.,oggi esposti al Museo Archeologico di Ancona
La piana di Fabriano è stata per secoli frequentata da diverse civiltà
come lo dimostrano le testimonianze archeologiche preromane di resti di
diversi villaggi e necropoli e nel periodo romano,mediante la
centuriazione che ha portato all'insediamento di diversi gentilizi,com’è
dimostrato dai toponimi prediali ancora presenti nella zona( Fabriano,Brosciano,
Moscano, Camarzano ecc.)
continua con la 2a
parte >>>
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Area
archeologica di Sentino
La pianura di
Sentino venendo
da Fabriano
Sassoferrato,
nelle
immediate vicinanze
dell'antica
Sentinum
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