Quella di
Ludovico di Ambrogio, fabrianese, è la figura più emblematica di un
uomo che nel tardo medioevo italiano seppe costruire una immensa
fortuna economica attraverso il commercio della carta e la gestione
di gualchiere. Ed è anche uno dei pochissimi personaggi la cui
vicenda le fonti d’archivio consentono di seguire in un arco
cronologico ampio: l’attività di Ludovico è infatti testimoniata
attraverso i suoi libri contabili e le sue memorie, che registrano
accuratamente le vicende del mercante fabrianese dalla metà del
Trecento all’anno 1417. Ludovico era un uomo d’affari dagli
interessi sorprendentemente ampi: i dati quantitativi relativi alle
forniture di carta, così come emergono dai suoi libri contabili, lo
fanno ritenere molto probabilmente il più ricco e intraprendente
mercante di carta di tutto il centro Italia. Ma i suoi interessi
commerciali non si limitavano soltanto a questa merce: egli trattava
infatti anche metalli, tessuti e soprattutto lana; smerciava inoltre
pellami, spezie e cereali.
In qualità di
imprenditore Ludovico, oltre a gestire varie gualchiere per la carta
anticipando denaro con forti interessi ad alcuni maestri cartai alle
proprie dipendenze, rivolgeva contemporaneamente i suoi interessi
anche agli opifici per la seta: nel 1398, ad esempio, affidava a
vari operai, fra cui molte donne, il lavoro di 2.000 libbre di
finigelli freschi perché li trasformassero in cascami di seta;
lo stesso anno anche le “suore della Vergine” di Fabriano lavoravano
la seta per suo conto, producendo nel solo quadrimestre
giugno-settembre 118 braccia e 5 once di seta fine, pagata 14 soldi
e 4 denari il braccio. Agli interessi verso il mondo dei traffici e
del lavoro artigianale Ludovico associava inoltre un’oculata
gestione dei beni immobili accumulati: nei primi anni del
Quattrocento, infatti, aveva alle sue dipendenze un fattore che
curava gli interessi del mercante nelle sue terre stipulando
contratti di affitto e di mezzadria e provvedendo all’acquisto e
alla vendita di bestiame. La molteplicità di interessi di Ludovico
esprime da un lato il suo dinamismo e lo spirito di iniziativa
mentre dall’altro si armonizza con la figura tipica del mercante
medievale, i cui interessi raramente si limitavano ad un unico
settore produttivo ma spaziavano spesso dai commerci di vari
prodotti all’imprenditoria artigianale, dal prestito di denaro
all’investimento fondiario.
Nel settore del
commercio della carta Ludovico riuscì a tessere una fitta trama di
relazioni con le più importanti compagnie mercantile dell’Italia
centrale, garantendo uno smercio del prodotto fabrianese in molte
regioni d’Europa. Il più antico dei suoi registri contabili, che
attesta l’attività del mercante dall’aprile 1363 a tutto il 1366,
presenta per ciascuna pagina una intestazione diversa a seconda
della compagnia con cui Ludovico era in rapporti di affari,
registrando accuratamente le quantità e la qualità della merce
spedita. Nei registri venivano altresì citati i nomi dei committenti
e dei loro fiduciari o rappresentati: tre delle compagnie con cui
Ludovico intratteneva rapporti d’affari avevano sede a Perugia,
cinque a Firenze, una a Fano, una a Talamone, una a Genova, due ad
Ancona, una a Lucca, cinque a Pisa, quattro a Siena, una a Rimini e
una a Città di Castello. Ludovico dunque era in contatto con i
mercanti che avevano in mano le redini del commercio internazionale
e fungeva da intermediario nella distribuzione di carta fabrianese:
fra questi mercanti spiccano i nomi di Giovanni Bettini di Fano,
Paiano di Falco di Perugia, Jacopo di Francesco Aringhi e Jacopo
Portinari di Firenze, Barna di Lucca, banchiere in Firenze.
Nel 1365 Ludovico
spediva complessivamente 567 balle del peso di oltre 137.850 libbre
(cioè poco meno di 500 quintali), così suddivise: 236 balle a
Perugia, 214 a Fano, 111 a Talamone, 6 a Firenze; l’anno seguente il
numero di balle esportate saliva a 663, pari a 6.106 risme di carta:
a Talamone ne confluivano 179, a Firenze 5, a Fano 188 e a Perugia
300. Dai porti adriatici e tirrenici le forniture di carta
raggiungevano poi varie destinazioni, spesso lontane: come risulta
dagli stessi registri di Ludovico, infatti, da Fano la merce
giungeva a Venezia, mentre da Talamone prendeva il largo alla volta
di Genova, Aigues-Mortes e Montpellier in Provenza. Le tappe seguite
dalla mercanzia venivano spesso descritte da Ludovico in modo assai
accurato nei suoi registri, lasciando intravedere un sistema
commerciale ricco di intermediazioni: nell’estate 1365, ad esempio,
il mercante fiorentino Ardingo de’ Ricci ordinava dalla sua piazza
di Perugia 5 balle di carta prodotta a Pioraco da inviare a Fano,
dove Giovanni Bettini la farà proseguire via mare per Venezia.
Ludovico, da parte sua, anticipava a Giovanni di Ofreduccio,
vetturale, le spese per le gabelle di transito della merce da
Pioraco a Fabriano, pari a 29 soldi e saldando a quest’ultimo il
compenso per il trasporto, che ammontava a un ducato d’oro e tre
lire anconitane; una volta giunta a Fabriano la fornitura sarebbe
stata affidata ad un trasportatore di Sassoferrato alle dipendenze
di Ludovico. |
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Dagli ultimi anni
del XIV secolo fino al 1416 Ludovico svolse la funzione di direttore
di un’azienda a conduzione prevalentemente familiare, curando i
rapporti d’affari con varie compagnie mercantili dell’Italia
centrale e settentrionale, mentre suo padre, Ambrogio di
Bonaventura, coadiuvato da alcuni contabili, si dedicava
principalmente all’amministrazione dell’azienda, provvedendo alla
compilazione dei libri mastri, accuratamente redatti. In questi
libri venivano registrati sistematicamente gli impegni assunti
dall’azienda nei contratti di compravendita di varie merci, i
prestiti e i depositi di denaro concessi, le garanzie rese a terzi,
le lettere di credito e altre operazioni che testimoniano il vivace
ruolo che rivestiva la compagnia di Ludovico nel mondo dei grandi
commerci. Se nei libri mastri venivano registrati i rapporti fra
l’azienda e gli scambi a largo raggio, fatto che consente di seguire
le rotte commerciali e i pagamenti delle partite di carta, oggetto
di annotazione dei libri delle gualchiere era invece la fornitura di
materia prima inviata agli edifici adibiti alla lavorazione, la
quantità e la qualità delle merci prodotte, la spesa sostenuta per
la fabbricazione. In un terzo tipo di registri, inoltre, il
contabile dell’azienda elencava quotidianamente le entrate e le
uscite, annotando anche le pur minime spese: questo articolato
sistema di amministrazione aziendale costituisce un valido indice
per apprezzare la capillare diffusione della cultura mercantile
nelle città italiane del basso medioevo.
Gli affari
andavano a gonfie vele per l’azienda di Ludovico negli ultimi anni
del Trecento. Una partita di merce spedita in più riprese fra aprile
e maggio 1398 a Jacopo Arighi, “compratore e ritagliatore” di
Firenze gli fruttò infatti lauti guadagni: venivano infatti spedite
in Toscana 2 balle di carta imperiale con grifone composta di 4
risme ½ per ogni balla, 18 balle di carta reale con grifone di 5
risme per balla, 105 braccia di seta fina e 19 di seta doppia; a ciò
vanno ad aggiungersi altre 2 balle e 9 risme di carta “di mezzo
cervio” recuperate da Ludovico in seguito al fallimento dei mercanti
fiorentini Ardingo de’ Ricci e Galtiero Portinari. Tutta la
mercanzia aveva un valore stimato da Ludovico nella somma di 750
fiorini d’oro, 8 soldi e 3 denari: il mercante fabrianese riuscì
però a piazzarla all’Arighi per un prezzo di 927 fiorini e 17 soldi;
al ricavo così ottenuto si devono però sottrarre le spese sostenute
per il trasporto, pari a 42 fiorini e per la gabella in entrata a
Firenze, che ammontava a 5 fiorini; a queste di aggiungeva anche la
commissione di vendita (la “provigione”) accordata al mercante
fiorentino pari all’1% del valore totale della merce stimata, in
pratica circa 8 fiorini. A conti fatti, dunque, nelle casse di
Ludovico restavano oltre 115 fiorini, cioè il 15% del valore
iniziale della partita.
A partire dal
1410, però, l’attività commerciale e imprenditoriale di Ludovico
sembra entrare in una fase di crisi: lo dimostra il fatto che dal 4
giugno di quest’anno entrò in società con un cialandratore suo
dipendente, Tommaso di Nascimbene, dedicandosi prevalentemente
all’attività di reperimento degli stracci. L’avvedutezza del
mercante tuttavia, nonostante la flessione del suo giro d’affari,
non venne mai meno: nel 1411, infatti, Ludovico si aggiudicò sotto
costo sulla piazza di Venezia l’acquisto di 22 balle di carta
“bagnata”, dunque andata a male, per riciclarla nelle gualchiere
fabrianesi: in questa singolare operazione le spese per il
trasporto, pari a 94 lire e 18 soldi, si dimostrarono addirittura
maggiori di quella, veramente irrisoria, per l’acquisto, pari a 620
soldi e 17 denari. Il risultato della gestione dell’anno 1412
risulta ancora soddisfacente: il guadagno netto di tutte le
compravendite ammontava a 928 lire 15 soldi e 6 denari, ma rimaneva
della chambora molto materiale invenduto (stracci, feltri,
carta di varia qualità) stimato complessivamente 633 lire e 10
soldi. Forse per quest’ultima causa, l’anno seguente Ludovico
costituì una nuova società, ora con due maestri cartai fra loro
fratelli, Cicco e Liberatore di Stefanello: i registri non ci
consentono però di seguirne le vicende patrimoniali.
Non sappiamo più
nulla di Ludovico fino al 1417, anno in cui soprendentemente
abbandonò il mondo del commercio “a causa –come egli stesso ricorda–
della difficile situazione creatasi in città, delle ingenti spese e
dei modesti guadagni”: in questo anno il dissesto finanziario della
sua azienda sembra oramai compiuto. Ludovico, infatti, per saldare i
debiti contratti dovette ricorre alla dote di 300 ducati di sua
moglie Marianna, che risarcì con beni immobili di sua proprietà;
contemporaneamente si trasferì a Foligno al servizio di Braccio di
Montone, noto mercenario, che lo nominò suo procuratore per
riscuotere le paghe destinate ai soldati. Il tracollo dell’azienda
coinvolse ovviamente tutto il nucleo familiare: nel 1426
Bonaventura, figlio di Ludovico, il più facoltoso e intraprendente
mercante di carta fabrianese, si trovava come garzone ad imparare
l’arte di fabbricare la carta da un maestro, Ungarino di Arcangelo,
mentre nella restante parte della sua vita si sarebbe dedicato al
mestiere di cialandratore |