La rocca d'Appennino
di Federico Uncini
Percorrendo la strada
statale 76 da Fabriano verso il valico di Fossato di Vico, sul monte
Vallarga, in località la "Spaccatura", si scorgono le rovine della
Rocca d'Appennino, sovrastante l'antica abbazia di S.Maria d'Appennino,
seconda sede.
Salendo per il sentiero
che parte dalla contrada "le Salare" (via arenaria), si raggiunge
il sito del vecchio maniero dove ancora sono visibili i resti e le
fondamenta dei palazzi, della torre, della cisterna, della corte, nonché
il fossato artificiale dell'ingresso.
Il complesso dominava
dall'alto la via che scendeva dal valico di Fossato verso la valle
dell'abbadia, dove scorrono le sorgenti del Giano.
Se nel periodo romano
questa via ebbe secondaria importanza rispetto a quella che da Nocera
raggiungeva il territorio sentinate e fabrianese, attraverso la valle di
Campodonico, all'inizio del Medioevo essa fu sempre più frequentata per
le facili e rapide comunicazioni con Perugia. La Rocca controllava
inoltre le strade che attraverso il valico di Valmare provenivano dal
territorio di Gualdo Tadino.
Tuttora la popolazione
che abita nella zona circostante chiama il sito "Rocca di S.Maria".
Castello, ma fu soprattutto Rocca, con sistema difensivo molto forte e
una vasta estensione di possessi fondiari che comprendevano una gran
parte del contado vicino e lontano: valle di Cacciano, Campodiegoli,
Varano, Colrotone, monte di Chiaromonte, Marischio, Filello, Collalto,
Pegliole(Pillo), terreni nei pressi di Camporege, Marena,
Coccore(alcuni di loro erano castelli, altre ville e bailie), nonché una
moltitudine di popolazioni rurali.
Aveva anche un borgo
sottostante indicato in alcuni documenti "in ortale Paganelli et
Petri Simonis", forse nei pressi delle Salare.
La Rocca era una
struttura difensiva tipica degli insediamenti di montagna esistiti tra
il IX e il XIV secolo, legata alla topografia e alla geografia del
territorio e delegata al controllo dei transiti appenninici.
Purtroppo manca la
documentazione sulle origini di questa fortezza che presumibilmente
dovrebbe essere coeve all' istaurazione in Italia del dominio franco o
longobardo. Probabilmente l'impianto originario fu costruito dai
Longobardi a difesa dei confini con i territori bizantini e
ristrutturato da Rodolfo di Monaldo III, conte di Nocera, possessore di
questa parte del territorio. Un'indicazione c’è data dal Dorio che
riporta le seguenti parole: "Rodolfo di Monaldo III possedé ancora
molti castelli da lui edificati dall'altra parte dei vicini monti
dell'Appennino che erano : Gista, Laverino, Rocca di S.Lucia,
Sommaregia, Ursaria, Serradica, Giuggiano e altri fino alla città di
Sentino distrutta".
I signori della Rocca
furono forse i patroni dell' abbazia di S.Maria d'Appennino.
I documenti che si
conoscono sono pubblicati nelle "Carte Diplomatiche dello Zonghi" e si
riferiscono ad una serie di guerre con il comune di Fabriano, quando
questo intendeva estendere il suo dominio fino ai confini montani.
Nell'anno 1226 con sei atti successivi si raggiunse la pace. Nel XIII
secolo il Comune incominciò a sottrarre vari possedimenti ai signori
della Rocca d'Appennino. Già nel 1199 aveva sottomesso il castello di
Camporege, forse appartenente alla contea di Camerino.
Nel 1213 Fabriano estese
il suo dominio sui castelli d’Isola di Filello e Collalto, nel 1214
Offreduccio di Cacciano si sottomise con il castello di Serradica e le
proprietà che aveva sulla chiesa di S.Gualterino in Cacciano.
Erano dei beni e degli
uomini che questo feudatario aveva nella valle di Cacciano e non nell'
omonimo castello. Nel 1215 seguirono Isola di Filello, Pegliole e Varano
con i seguenti confini: "homines et castellanos quos habent in insula
filelli et curte, in pillo et curte,in varano et curte, sicut designatur
per istas senaitas versus fabrianum: incipit per serram a castro varani
in susum et vadit par viam que vadit a camporesio et vadit par medium
montis pecallari et mergit ad melanum et vadit ad fossatum quod vanit a
sancto victore et vadit ad serram longam.". Nel 1220 fu ceduto il
castello di Chiaromonte i cui signori erano parenti (Ugolino di Sibilla)
con quelli della Rocca d'Appennino e comproprietari di terreni presso
l'omonimo monte.
Nel 1224 l'abate Damiano
di S.Maria d'Appennino sottomise a Fabriano alcuni uomini soggetti al
monastero. Nello stesso anno fu la volta di Paganello con tutti i beni
che possedeva sulla sommità del monte Appennino.
Tra gli eredi c'erano
anche alcuni signori della Rocca d'Appennino come
"guidolus rocce, actolus et paschale rocce" oltre
"Homines si quos habet in dicto castro rocce et ejus curte, et a dicta
summitate montium appenini in visus versus fabrianum".
I Paganello erano i
maggiori proprietari della Rocca e con quest’atto di cessione al Comune
iniziò la decadenza della fortezza.
Attone di Girardo della
Rocca insieme a Bonostagno, ad Ugolino di Bernardo e a Guido
d’Uguccione nello stesso anno diventarono abitanti di Fabriano.
Questo nel 1226 distrusse
il castello di Colrotone, compì delle scorribande nelle valli di
Cacciano, S.Giovanni, Campodiegoli e Varano ed attaccò la Rocca
d'Appennino arrecando danni fino alla corte del fortilizio. Si arrivò ad
una tregua stipulata "in via arenario rocce appenini". Nello
stesso anno nei pressi del borgo della Rocca furono stipulati altri atti
di sottomissione. I proprietari Egidio e Ugolino del fù Gualtiero di
Saraceno, il fratello Trasmondo e Pietro di Simone, dopo aver ricevuto
1000 libbre ravennati dal Comune per i danni subiti, posero la Rocca e
tutti i loro possessi sotto la sua protezione e si trasferirono dentro
le mura di Fabriano.
Nelle condizioni di
sottomissione vengono citati alcuni possedimenti della Rocca:
"homines quos habent a montibus appenini inferius, et a sancto
gualterino usque marenam et usque fabrianum, exceptis hominibus quos
habent in rocca appenini, et ejus curte infra senaitas inferius
scriptas.....habitatores castri collis rotuni et curtis... homines de
valle caczani, et valle sancti joannis, et de varano et pillo et de
insula filelli et marisclo, et generaliter omnes homines quos habent a
montibus appenini inferius et a senaitas inferius scriptas..."
Altri confini vengono
richiamati come segue. "hec sunt senaite rocce, intrat per fossatum
trabis et venit in fluvium quod venit per valle caczani ad cancelli, et
venit per cancelli et tendit ad summitatem montis castellani, et mergit
per serronem montis, et per forcaturam varani in pede campirei ubi
cappana actonis rustici, et intrat in fossatum et vadit par vallem
soffranam ad fontem fabbri et pergit ad crucem sancti martini".
Gli atti furono stipulati
in "via arenario rocce appenini" ed "in pede burgi rocce
appenini in ortale paganelli et petri
simonis".
All'incirca un trentennio
dopo, negli anni dal 1260 al 1262, i figli ed i discendenti dei signori
predetti vendettero le loro proprietà a Fabriano.
Il Comune acquistò
l'ultima parte della Rocca con i suoi possedimenti, compresi prati,
pascoli, selve, pedaggi ("pede ipsius rocce et in via inglisca"),
vigne sulla sottostante abbazia ("vineam abbatis") e gli abitanti
di monte Maggio e de la Lacula.
In un manoscritto del
Dorio "Historia dei Trinci" si legge: "nel 1261
Rinaldo e Bonifacio vendettero al comune di Fabriano il castello della
Rocca d'Appennino e ogni ragione annessa(?), in monte Maio, sul versante
cresta, tanto per la ragione della conquista di detta rocca, quanto per
qualsiasi sia la causa ".
Sono citati la montagna
di Chiaromonte, di Poggio d'Orsara (valle vicino a Cacciano), di
Fossato, di Gualdo ed altre.
Per questa totale
sottomissione Fabriano dovette sostenere una guerra con Perugia nel
1278, le cui milizie penetrarono nel territorio marchigiano e vi
compirono stragi e devastazioni.
Già precedentemente, nei
primi anni del 1200, alcuni signori della Rocca d'Appennino
combatterono contro Perugia al soldo d’Assisi.
Fabriano, città anch'essa
in perpetuo contrasto con Perugia per via dei castelli di confine, inviò
un drappello di combattenti tra cui c'erano Simone della Rocca e i figli
Paganello e Pietro. Al loro fianco combatté anche Francesco d'Assisi.
I signori della Rocca
probabilmente fecero costruire un ospedale chiamato in alcuni documenti
"della Rocca d'Appennino", collocato nelle sue vicinanze, sulla
via che conduceva al valico di Fossato e di Valmare.
Nella carta di S.Maria
d'Appennino del 1225 in una vendita si nomina un ospedale "d'Appennino"
in "orto sub domo hospitalis appenini", forse riferito a quello
della Rocca . Sono citate due terre in "ortali de valle cacani ed in
mellelis".
Nel 1288 Fabriano
prorogò il termine per la costruzione dell'ospedale della Rocca:
"quem dictum coe abebat ad costruendum et perficiendum hospitale Roche
adpenini sub certa pena etc.".
Nel 1341 Crescimbene di
Bonangiunta sindaco del Comune, nominò Bonaventura di Giovannolo di
Giuntolo del quartiere di Castelvecchio, ospedaliere e guardiano
dell'ospedale "de rocha Apennini" per otto anni a cominciare dal
15 agosto, con diritto alle case e all'orto dell'ospedale con obbligo di
abitarvi con la sua famiglia, di guardarlo, mantenerlo, aumentarlo, di
ricettarvi i poveri e di servirli "et
alia facere que fatiant ad honorem dei et beate marie virginus eius
matris".
L'attività di questi
ospedali appenninici terminò nel XV secolo.
Secondo lo Zonghi, la
proprietà della Rocca appare molto frazionata e divisa fra numerose
persone,ma la parte maggiore spettava a Rinaldo e a Bonifacio, figli
d’Egidio, ed alle loro mogli Sebilla e Maria, oltre alla nuora
Valseverina; il prezzo pagato a questi signori fu di 1575 libbre
ravennati .
Tra tutti i castelli
sottratti agli antichi feudatari che riconoscevano la sovranità del
Comune, Fabriano dedicò una maggiore cura a questo fortilizio.
Nei diciotto inventari
conservati dal 1292 al 1309, il castello appare in piena efficienza ed è
frequentemente migliorato e rinforzato.
Comprende una rocca, il
girone col suo armamento difensivo (aruncelli o roncigli e gran quantità
di quadrelli o dardi per balestre), due "palatia" o parti basse
del fortilizio; è provvisto di un forno e di una cisterna per l'acqua
potabile; non manca nemmeno, per attenuare ai castellani la noia
dell'ozio invernale, un tavoliere da scacchi.
Dal settembre 1297 il
Comune sostenne spese non lievi per accrescere l'armamento, aumentando
le armi da lancio (500 e più quadrelli, ventitré lancioni, sei balestre
di varie forme) e quelle personali di difesa (dodici "targhe o scudi"
ed altrettante cassette o elmi di ferro).
Spiccano in ciascuno
scudo e si ripetono negli elmi gli stemmi araldici: due con fasce rosse
e una ruota di carro in campo d'argento, due con leoni scaccati, due con
fasce e merli, due con una rocca, altri due con leoni bianchi.
Una delle balestre è
contrassegnata con uno scudo diviso da una croce in quartieri con due
aquile "in termine", tutte sono sigillate con l'arme del Comune, quale è
descritta nelle carte diplomatiche contemporanee edite dallo Zonghi
(a.1286 n.239): il fabbro nella fucina sul ponte del fiume e la scritta:
"faber in amne" .
Quale sia l'importanza di
questi stemmi e il loro significato sfugge:
che contrassegnino
altrettante famiglie nobili contrasta col fatto che le armi furono
fabbricate per il Comune e, del resto, le figure rappresentate non hanno
riscontro con insegne nobiliari posteriori.
Un'altra singolarità di
questo castello è l'esistenza in lui di una "domuncola" o cappellina,
nella quale, oltre ad una "Maestà " o edicola rurale della Vergine,
c'era un altare dedicato a S.Margherita d'Antiochia, oggetto di
particolare venerazione da parte dei castellani, dei quali si registrano
preziose donazioni: tovaglie finissime, drappi di seta, croci, stendardi
in uno dei quali era dipinta la Santa col dragone di cui parla la
leggenda.
E' verosimile che questo
culto sia stato importato dalla vicina badia benedettina di S.Maria
d'Appennino, ed è certo che esso fu trasferito a Fabriano dove verso la
metà del secolo XIII fu fondato con questo titolo un monastero femminile
pure benedettino, che esiste ancora (S.Margherita).
L'ultimo inventario del
castello del 1309 mostra già i chiari segni della decadenza e
dell'abbandono da parte del Comune .
L'ultima menzione è del
1326 . In un documento del 31 ottobre 1364 si parla di un testamento del
"nobiluomo Trasmundo del fù Filippuccio di Trasmundo, de roccha de
appennino, distr. fabr., con legato alla chiesa di S.Maria d'Appennino,
che nomina erede universale Giovanni di Tommaso Chiavelli".
Con Trasmundo si estinse
la stirpe dei signori della Rocca d'Appennino.
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