Le origini dell'Arte della carta
a Fabriano
di Giancarlo Castagnari
Giovanni Domenico Scevolini nella sua cinquecentesca storia di Fabriano,
pubblicata dal Colucci in Antichità Picene nel 1792, scrive
testualmente: ...«E' posta in proverbio, la
Carta Fabrianese, di cui gran quantità se ne porta non solamente per
tutte le province d'Italia, ma in Germania e in Levante, particolarmente
in Alessandria di Egitto, ed in Costantinopoli, ove sono fundati (sic)
degli uomini di Fabriano. Io non ho potuto a mio modo venire in perfetta
cognizione chi prima portasse quest'arte, e quando a Fabriano, se non
che in una memoria tutta lacera, e questa trovo aver cominciato
nell'anno di Cristo novecentonovanta...».
Lo Scevolini continua raccontando la
leggenda di Herardo da Praga, che - fuggiasco dalla Boemia con la sua
famiglia - si rifugia a Fabriano e qui inizia a lavorare la carta e ad
insegnare quest'arte ai Fabrianesi.
Cautamente il memorialista conclude:
«Quest'è quanto dalle antiche memorie ho potuto ricavare d'intorno alla
Carta, non osandone di affermarlo per vero, né di biasimarlo come
mensogna, non avendo anco potuto venire in chiara cognizione chi fosse
il primo inventore di quella. Ma comunque si voglia essere, il far della
carta non è nuovo in Fabriano, e le prime ricchezze di questa terra si
sono fatte con le mercanzie della Carta».
A sua volta il Colucci, molto acutamente,
annota: «Per quanto sia antica l'invenzione della carta, non si potrà
mai addurre una prova sicura da farne risalir l'epoca al secolo X
dell'era volgare, né abbisognamo di ricorrere ad una favola per privare
i Fabrianesi del merito della invenzione, ed attribuirlo ad un Boemo,
quasi che i soli esteri capitati nella nostra nazione sieno stati i
felici inventori delle più belle scoperte».
Dello stesso parere è il Marcoaldi che
nella sua Guida e Statistica della Città e Comune di Fabriano
(1873) si esprime così: «Se non vuolsi prestare fede ai patrii cronisti
per non aver eglino recato documento alcuno su ciò che asseriscono,
essere cioè esistita in Fabriano la industria della carta fin dal 990;
certo è che la fabbricazione della carta bambagina fioriva fin dal sec.
XII...».
Altri potrebbero essere gli spunti sulle
leggendarie origini di un'Arte le cui tracce, validamente documentate
risalgono alla seconda metà del XIII secolo; ma purtroppo la favola,
anche se affascinante, non si concilia con il rigore della ricerca
storica basata sullo studio e quindi sulla interpretazione degli antichi
documenti conservati nei nostri archivi.
E' invece opportuno fare un breve cenno
all'iter e alle fasi evolutive della fabbricazione della carta,
iniziando dalle sue prime apparizioni nei paesi orientali per giungere
alle accertate presenze nel territorio fabrianese. Questo itinerario,
questo viaggio storico della carta nello spazio e nel tempo viene
suddiviso dal Gasparinetti in tre distinti periodi o cicli: 1) periodo
arabo; 2) periodo arabo-italico; 3) periodo fabrianese.
Nel primo di questi periodi si suole
collocare tutta la lavorazione della carta eseguita con tecniche e
sistemi strettamente arabi applicati nel vicino Oriente, in Egitto, nel
Marocco e quindi in Spagna nella cartiera di Xativa (oggi San Felìpe, in
provincia di Valenza), menzionata dal Califfo Edrissi come esistente nel
1173.
Del secondo periodo, che va dai tipi di
carta fabbricata con la tecnica araba che lo precede ai tipi prodotti
nel Fabrianese che lo segue, si ha una conoscenza limitata e incerta a
causa dei carenti elementi probatori. E' questo in effetti un periodo di
passaggio, denso di incertezze che non consentono di stabilire come,
dove, quando e da chi è introdotta l'Arte della carta in Italia e di
risolvere il dibattuto dilemma sul primato delle origini, conteso da
antiche regioni di tradizioni cartarie quali la Sicilia, la Campania con
Amalfi, la Liguria e le Marche con Fabriano. E' un passaggio tuttavia
avvenuto gradatamente con la sperimentazione di nuove tecniche e
l'impiego di mezzi e di materiali non usati dagli Arabi, secondo le
diverse e variabili risorse locali e le capacità creative e culturali
dell'artigianato indigeno. Una fase lunga, dai contorni confusi, che si
protrae fino alla seconda metà del XIII secolo, epoca in cui l'Arte
della carta bambagina fiorisce a Fabriano, nell'entroterra marchigiano,
dove compie quel salto di qualità fino allora mai raggiunto, consentendo
a questo Comune di imporsi all'attenzione dei mercati italiani ed
europei e divenire uno dei primi e maggiori centri cartari della nostra
penisola; prerogativa che riuscirà a mantenere ininterrottamente per
oltre due secoli.
L'ultimo periodo - quello fabrianese -
riguarda dunque esclusivamente la carta lavorata a Fabriano - o con le
tecniche usate a Fabriano - dove, appunto, quest'Arte è - si può dire -
rinnovata e perfezionata fino a raggiungere la struttura definitiva,
mediante la quale - sostiene lo storico Gasparinetti - «nel corso dei
secoli le moltiplicate necessità portarono la carta alle applicazioni ed
all'uso certo impreveduto dai primi artigiani produttori».
Si può quindi ritenere che il terzo ciclo
sia un punto di arrivo, anche se la ricorrente domanda che si formula
per sapere in quale epoca l'Arte della carta sia giunta a Fabriano
rimane senza risposta.
Una attendibile teoria può essere avanzata
sul come l'arte della fabbricazione della carta sia giunta
nell'entroterra marchigiano. Gli storici sono propensi a ritenere che
l'Arte sia penetrata attraverso Ancona e qualcuno avanza l'ipotesi che i
Fabrianesi l'abbiano appresa dagli Arabi fatti prigionieri in uno dei
frequenti assalti contro la città dorica dopo l'XI secolo; prigionieri
che per motivi di sicurezza venivano internati nell'alta valle
dell'Esino. A questo proposito il Gasparinetti porta come conferma che
Borgo Saraceno si chiamava, nella metà del XIII secolo, quella parte
della città sviluppatasi tra la porta Pisana (detta pure «Saracina»,
dove la via di Ancona entra a Fabriano) e il convento di S. Agostino
(dove oggi sorge l'ospedale civile). Ma sulla origine del toponimo,
avanzata dal Gasparinetti, il Sassi formula alcune riserve non avendo
egli riscontrato nei documenti prima del Trecento il nome di quel Borgo.
Non mancano ipotesi più ardite: alcuni
attribuiscono ai Crociati fabrianesi il merito di aver appreso i segreti
dell'Arte in «Terra Santa», altri vedono nei Templari i precursori dei
cartai, altri ancora ritengono che la nuova attività manifatturiera
viene introdotta a Fabriano da intraprendenti monaci reduci
dall'Oriente.
Tuttavia, indipendentemente dalle dispute
sui tempi, sui luoghi e sui modi di apprendimento, è ormai certo che
sono gli Arabi i primitivi maestri dei cartai fabrianesi e che il lino e
la canapa sono le stesse materie prime usate nel Medio Oriente, a Xativa
e a Fabriano per fabbricare carta bambagina.
E' altrettanto vero che lo sviluppo della
nuova attività produttiva è facilitato e assecondato dai favorevoli
fattori ambientali e socio-economici tipici dell'area fabrianese, dove
da tempo le acque del fiume Castellano (oggi Giano) sono sfruttate come
fonte di energia dalle gualchiere dei lanaioli dislocate lungo le sponde
e dove è già intensa l'attività artigianale e notevole quella
mercantile, nate con il costituirsi del Comune medioevale, le cui
origini sono oggetto di attento studio nel 1909 da parte di quel grande
storico che fu Gino Luzzatto che, nella sua incomparabile monografia
Rustici e signori a Fabriano alla fine del XII secolo, dedica
particolare attenzione all'evoluzione dei rapporti tra i boni homines
o maiores e i minores o populares e alla lenta
trasformazione della società feudale in società comunale.
Non è quindi improbabile che l'attività cartaria sia timidamente
iniziata quando la borghesia artigiana e mercantile, già organizzata in
corporazioni, agli inizi del Duecento, riesce ad avere il sopravvento
sui «signori rustici» e a sostituirli nel
governo del Comune. Ossia quando nella comunità fabrianese mutano i
rapporti di forza e il ceto imprenditoriale, dinamico e intraprendente,
guidato dai gruppi più evoluti e più potenti, accresce il suo peso
politico, contende apertamente il potere ai nobili, agli antichi
feudatari rurali, incastellati, che reggono il Comune aristocratico, e
infine si sostituisce alla primitiva classe egemone istituendo il Comune
democratico o delle Arti.
Le corporazioni delle arti e dei mestieri
sono arbitre della vita Comunale fin dalla seconda metà del XIII secolo,
come dimostra il primo documento conosciuto, che porta la data del 30
settembre 1278, nel quale sono menzionati i nomi dei consoli e dei
capitani delle 12 Arti, i quali, con i poteri e le attribuzioni del
Consiglio Generale del Comune, eleggono Podestà Orso degli Orsini,
nipote di Niccolò III, e come successivamente attestano gli atti
consiliari del 1294 che riportano i nomi dei supremi magistrati eletti
fra i rappresentanti delle corporazioni.
I citati documenti, conservati
nell'Archivio Storico Comunale di Fabriano, danno l'esatta dimensione
dell'importanza e della potenza raggiunte dalle Arti e il ruolo
determinante che esse svolgono in questa fiorente «repubblica
appenninica», capoluogo di un vastissimo territorio, con estese
proprietà pubbliche, centro fra i più importanti della Marca per la sua
economia in graduale sviluppo.
Nella metà del Duecento le deboli unioni
artigianali, che godevano del privilegio di praticare in esclusiva un
mestiere, sono ormai divenute potenti e autonome corporazioni (autentici
organismi politico-economici istituzionalizzati che condividono il
potere con la nobiltà), che, con i loro statuti, approvati annualmente
dalle autorità comunali, garantiscono protezione e mutua assistenza ai
propri affiliati, obbligati - se vogliono esercitare il mestiere - ad
osservare scrupolosamente i regolamenti e le pratiche religiose, ad
applicare i prescritti procedimenti tecnici per la lavorazione dei
singoli manufatti, di cui si controllano la qualità e la quantità, a
rispettare l'orario di lavoro, i prezzi calmierati, i salari, le
giornate di chiusura per le «botteghe», le gerarchie interne, la
suddivisione in tre categorie funzionali, maestri, lavoranti,
apprendisti, infine ad esercitare la professione negli insediamenti
produttivi appositamente predisposti dentro e fuori le mura.
Non c'è dubbio che l'attività produttiva
più antica è legata al mestiere del fabbro-ferraio sin dalle origini dei
primi insediamenti medioevali (ambo castra Fabriani). L'Arte dei
fabbri figura nel citato elenco del 1278, ma evidentemente gruppi di
artieri dediti alla lavorazione dei metalli si erano inseriti nella
comunità fabrianese in epoca molto anteriore, assurgendo così a simbolo
della tradizionale operosità delle genti insediate nella valle del Giano
ed entrando nell'affascinante mondo delle leggende popolari che esaltano
la figura del fabbro (faber in amne cudit). E' comunque accertato
che nel XIII secolo il sigillo del Comune rappresenta un artiere, con il
martello nella mano destra e le tenaglie nella mano sinistra, intento a
battere il ferro sull'incudine e che 38 fucine occupano il lato Nord
della piazza «mercatale» (oggi piazza Garibaldi). Da esse escono
manufatti molto richiesti, fra i quali le molle da fuoco o «tenagli a
massello» (dette «chiappe» fabrianesi) esportate in gran quantità,
unitamente ai ferri battuti, sin dal XII secolo.
E' ormai accertato però che, ancor prima di
avere notizie attendibili sulla lavorazione della carta a Fabriano, una
fra le corporazioni più potenti ed importanti, è quella dei lanaioli, di
cui si riscontra l'esistenza nel 1278, quando già da tempo quest'Arte
svolge un ruolo di primo piano nell'economia locale configurandosi come
una delle principali industrie manifatturiere che coinvolge personale
specializzato, nella cardatura, nella tessitura e nella tintoria, con
una mole di affari che va dal reperimento della materia prima al
commercio dei prodotti finiti, come si apprende in uno statuto riformato
del 1369, studiato da Aurelio Zonghi. Un'Arte ricca che dispone di un
suo patrimonio immobiliare, di gualchiere, di un edificio per il «purgo»
dei panni-lana, gestita da imprenditori intraprendenti che per la
disponibilità di impianti e di capitali sono fra i primi ad avviare a
Fabriano la lavorazione della carta e ad esercitare - come assicurano
Zonghi e Gasparinetti - contemporaneamente il mestiere di cartaro.
Un'ipotesi che può essere avvalorata dal fatto che l'Arte della carta
bambagina risulta ufficialmente costituita nel 1326, anche se nel 1283
alcuni nomi di cartai fabrianesi appaiono negli atti del notaio
Berretta, documenti conservati presso l'Archivio Storico del Comune.
Tutto ciò può dare adito ad un'altra
ipotesi: si può ossia ritenere che all'inizio i primi cartai non avendo
ancora forza e modo di costituire una propria autonoma corporazione,
siano costretti, per esercitare il nuovo mestiere, ad affiliarsi
all'Arte della lana, ove trovano una certa affinità e più facile
accoglimento fra gli addetti ad un settore che nel ciclo di produzione
impiega l'energia idraulica nelle gualchiere la follatura dei
panni-lana.
Sono comunque questi artigiani che, con la
loro abilità e creatività, una volta venuti in possesso delle
rudimentali tecniche arabe per fabbricare la carta, le perfezionano a
tal punto che nel giro di pochi decenni fanno di Fabriano la culla di
quest'Arte in Europa, aprendo un nuovo capitolo dell'economia cittadina.
In altri termini, a Fabriano agli inizi del
XIII secolo ci sono tutte le condizioni ambientali, sociali ed
economiche favorevoli alla nascita di nuove attività manifatturiere che
possono trovare consistenti supporti nella borghesia impegnata, con
mezzi e capitali, nei già esistenti settori dell'artigianato di
produzione e nella mercatura, anch'essa organizzata in corporazione, la
quale, unitamente ai merciai, monopolizza tutto il meccanismo della
distribuzione, riuscendo ad intensificare i traffici commerciali e a
conquistare vasti mercati anche in lontane regioni.
In questo assetto sociale e politico, in
questo tipo di economia comunale, notevolmente sviluppata e in
espansione, prende l'avvio l'artigianato cartaro di cui si hanno
tangibili segni nella seconda metà del XIII secolo in atti e documenti
che lasciano ragionevolmente presumere che l'inizio di queste attività
sia anteriore e che comunque si possa far risalire agli inizi del
Duecento e, forse, anche prima.
Si deve inoltre ricordare che il «periodo
fabrianese» della storia della carta è caratterizzato da alcune
innovazioni (o invenzioni) che in un certo senso rivoluzionano le
primitive tecniche apprese dagli Arabi e che danno al prodotto lavorato
in loco inconfondibili prerogative e una precisa connotazione.
Ai Fabrianesi infatti si attribuisce
l'invenzione o l'applicazione della pila idraulica a magli multipli per
ridurre lo straccio in fibra, eliminando così il mortaio e il pestone di
legno azionato a mano. Questo maglio in batterie, mosse dall'acqua per
mezzo della ruota, è una vera rivoluzione tecnica che, oltre ad
accelerare la preparazione dello straccio e ad aumentare la
produttività, consente di ottenere una fibra meglio lavorata e quindi un
tipo di carta migliore che si distingue nettamente da quella di
fabbricazione araba.
Altra invenzione fabrianese di enorme
importanza è il collaggio della carta con gelatina ricavata facendo
bollire gli scarti delle pelli animali forniti dalle concerie locali.
Viene così eliminato l'uso delle colle d'amido ricavate dal frumento e
rimosso l'inconveniente del facile deterioramento dei fogli e
dell'assorbimento degli inchiostri, difetti che giustificano il divieto
di impiegare materiale cartaceo per gli atti pubblici. A questo
proposito il Gasparinetti sostiene che «tutte le carte a noi conosciute
che con sicurezza si possono attribuire alla produzione fabrianese sono
collate alla gelatina animale, particolare questo non di secondaria
importanza che non appare in alcun'altra carta di altre provenienze». Da
questo nuovo trattamento si può ben dire che nasce la fortuna della
carta quale mezzo di scrittura o materiale scrittorio, prima poco
diffuso proprio perchè gli amidacei usati dagli Arabi offrivano un
terreno troppo favorevole allo sviluppo dei microrganismi con la
conseguente rapida distruzione del foglio scritto e quindi la sicura
perdita di importanti documenti.
La scomparsa di ogni avversione all'uso
della carta subito dopo il primo quarantennio del XIII secolo lascia
presumere che nel mercato viene immesso un prodotto che per robustezza e
conservazione risponde a tutte quelle richieste qualità e garanzie non
fornite dalla carta di fabbricazione araba.
Infine il Briquet, lo Zonghi e il
Gasparinetti concordano nel ritenere che le prime filigrane furono
eseguite a Fabriano. Forse qui è il caso di precisare - come a suo tempo
fece Giambattista Miliani - che non si tratta tanto di invenzione della
filigrana quanto di una scoperta dovuta al caso. «Un filo - spiega
Gasparinetti - che nella forma metallica si sia staccato o piegato
lasciando il segno sul foglio di carta nel corso della lavorazione, può
aver suggerito l'idea di dare a questo filo una forma definita e così si
spiegherebbe la rudimentalità e semplicità delle primissime filigrane,
le quali poi, con il tempo e con i maggiori mezzi di cui si è potuto
disporre, sono andate a mano a mano perfezionandosi». Del resto né
Cinesi né Arabi hanno lasciato traccia di antiche carte, da essi
lavorate, nelle quali appaiano segni di filigrana, mentre sono le carte
filigranate di produzione fabrianese a confermare la presenza, poco dopo
la metà del duecento, di maestri cartai a Fabriano già da tempo in
condizioni di esercitare il proprio mestiere ottenendo lusinghieri
risultati, tanto da contraddistinguere il proprio prodotto con segni
particolari, come, con altri accorgimenti, facevano i lanaioli. I primi
cartai infatti usano i segni della filigrana per marcare il proprio
prodotto. Più tardi gradualmente si passa ai segni più complicati e
rifiniti per contraddistinguere i vari tipi di carta e il formato dei
fogli o per contrassegnare o individuare i diversi committenti o per
stabilire i periodi di fabbricazione. Questi «segni», a volte bizzarri e
fantasiosi, in cui domina sempre l'ingenuità artistica degli esecutori,
sono stati collezionati nel secolo scorso dai fratelli Zonghi e poi
riprodotti dall'editore olandese E. J. Labarre nel terzo volume della
collana «Monumenta Chartae Papyraceae Historiam Illustrantia».
Le più antiche filigrane rivenute a
Fabriano contrassegnano fogli in cui sono trascritti testi di documenti
datati 1293; tre di esse si trovano in atti appartenenti alla serie
delle rivendicazioni comunali (sezione cancelleria), conservata
presso l'Archivio Storico Comunale; una in atti dell'Archivio Notarile
Mandamentale. I segni, assai semplici e rudimentali, formano lettere
maiuscole I e O, due circoli tangenti esternamente due circoli
concentrici, linee in croce terminate da circoli.
Sono queste le testimonianze più sicure che
confermano l'esistenza a Fabriano di questo nuovo tipo di attività
manifatturiera, evidentemente praticata in epoca anteriore al 1293;
un'attività ormai uscita dalla fase sperimentale e primitiva,
sufficientemente collaudata e quindi in piena espansione.
Del resto che l'uso della carta sia
abbastanza diffuso nella valle dell'Esino lo conferma un registro di
spese (membranaceo) dell'Archivio Storico di Matelica che, fra l'altro,
riporta i pagamenti per acquisto di carta bambagina effettuati da quel
comune nel primo trimestre 1264 e che si ripetono anche nei registri
degli anni successivi; in un solo trimestre del 1269 vengono comperati
quattro quaderni e 160 fogli di carta. Questi antichi documenti
amministrativi di un centro marchigiano nel quale non si conosce traccia
di gualchiere «a cincis», lasciano desumere che la carta, usata
in quantità consistente, sia di sicura provenienza fabrianese.
La vitalità dei maestri cartai operanti a
Fabriano trova riscontro nei protocolli dei notai Berretta e Diotesalvi
di Blanco, i quali, rispettivamente nel 1283 e nel 1296, registrano Atti
che accertano la presenza di artigiani dediti alla lavorazione della
carta bambagina.
Altri elementi che attestano
successivamente il grado di efficienza raggiunto dall'Arte della carta
sono: i nomi di 30 cartai, vissuti tra il 1320 e il 1360 che si leggono
negli atti notarili e nei registri contabili dei mercanti; l'accesso al
priorato (massima magistratura del comune medioevale) nel 1326 dei
rappresentanti dell'Arte; alcune decine di gualchiere dislocate lungo le
sponde del fiume Giano; le rilevanti quantità di balle e risme di carta
esportate in diverse parti d'Italia e d'Europa; la presenza di maestri
cartai fabrianesi fondatori di cartiere in Toscana, in Emilia, nel
Veneto.
Nelle memorie sulle Antiche carte
fabrianesi Aurelio Zonghi cita i nomi di 22 carta rinvenuti in un
volume di atti del notaio Matteo di Matteuccio, rogati tra il 1320 e il
1321, dove sono registrati alcuni contratti di società e di locazione di
opere ad artem chartarum operandam et exercendam e il Sassi cita
documenti dai quali risulta che i monaci Silvestrini di Montefano e i
Benedettini di S.Vittore delle Chiuse sono possessori o locatori di
cartiere.
Altre interessanti testimonianze confermano
l'espansione dei commerci della carta, a cominciare dagli atti notarili
di Benevento di Corraduccio di Manzia nei quali si specifica che 622
risme di carta bambagina «grossa» insieme ad altra partita di 72
risme di diversa qualità sono destinate nel 1347 a Venezia, per giungere
ai preziosi registri del facoltoso mercante Lodovico di Ambrogio che,
dal 1363 al 1414, annover fra i suoi numerosi clienti committenti da
Ancona, Fano, Rimini, Gubbio, Perugia, Spoleto, Città di Castello,
Firenze, Pisa, Siena, Lucca e imbarca la sua pregiata mercanzia per la
Francia e l'Europa del Nord a Talamone. In soli tre anni dal 1364 al
1366 Lodovico spedisce a Talamone 240 balle di carta pari a un peso di
circa 54.000 libbre.
Osvaldo Emery, basando i calcoli sui
formati della carta e i pesi allora in uso, presume che all'inizio del
XV secolo la produzione annua di carta a Fabriano raggiunga i 2500
quintali.
D'altro canto i mezzi e i capitali di cui
dispone un solo mercante come Lodovico di Ambrogio (che, oltre ad essere
proprietario di cartiere commissiona ad artigiani, ridotti a rango di
lavoratori a domicilio, gran parte dei manufatti destinati
all'esportazione e reperisce anche gli stracci, preziosa e ricercata
materia prima per fabbricare carta) indicano la rilevante mole di affari
che coinvolge gli addetti a questo settore manifatturiero, struttura
portante dell'economia fabrianese tra il XIV e il XV secolo.
Il fatto stesso che alcuni nobili famiglie
come i Fidismidi di parte Guelfa e i Chiavelli di parte Ghibellina
(quest'ultimi nella seconda metà del Trecento incontrastati signori di
Fabriano), favoriscono lo sviluppo dell'arte cartaria con l'acquisto di
gualchiere che gestiscono direttamente o concedono in affitto ai propri
protetti e sostenitori prova con quale impegno i Fabrianesi assecondano
l'espansione della domanda di un manufatto da cui si ricavano
sicuri profitti, ma contemporaneamente dimostra che la nobiltà di
origine feudale, esercitando il controllo sulle attività industriali
mira a monopolizzare il potere economico per riacquistare quella
posizione egemonica che occupa la borghesia artigiana e mercantile
organizzata in corporazioni.
Purtroppo di quest'Arte che, sia per il
numero dei consociati: cartai, cialandratori, allestitori, sia per
l'impulso dato allo sviluppo economico della comunità fabrianese svolge
un ruolo di primo piano nella tormentata vita politica comunale, non si
conosce traccia di statuti. La mancanza di un così importante punto di
riferimento impone di ricostruire le attività, le strutture e gli
ordinamenti corporativi sulla base di altre fonti quali gli atti dei
notai, i registri dei mercanti e dei negozianti di carta, dei
cialandratori.
Si può pertanto stabilire che i veri
fabbricatori di carta sono i «mastri»
o maestri cartai proprietari o affittuari di cartiere. La loro preziosa
o reffinata opera si limita alla produzione dei fogli mentre per le
altre successive operazioni di allestimento: satinatura, piegatura,
impaccatura, la carta passa ai cialandratori, una categoria di artigiani
che con l'utensile denominato «cialandra» lisciano la carta nelle
loro botteghe quasi sempre separate dalle gualchiere e, a differenza di
queste, situate entro le mura della città. Infine ci sono i «mercatori»
o mercanti di carta che corrispondono ai moderni grossisti i quali
acquistano in proprio dai fabbricanti del posto e ad essi commettono gli
ordini che loro giungono dalla clientela. A loro volta questi mercanti
per intensificare il ritmo della produzione e per assicurarsi più lauti
guadagni diventano prprietari di cartiere dove impiegano artigiani
dipendenti oppure formano società con fabbricatori di carta. Nasce così
un ibrida figura di mercante-piccolo industriale che riesce ad unire
nelle stesse mani tutti i cicli della produzione e della distribuzione
dal reperimento della materia prima: gli stracci che vengono a volte
importati da lontano, alla vendita del prodotto finito di cui viene
curata la spedizione e l'immissione nei mercati italiani, europei e
mediorientali anche per il tamite di procuratori e procacciatori di
affari. Una figura singolare di intraprendente imprenditore che, per le
insuperabili e inconfondibili qualità del prodotto di cui dispone, può
soddisfare una domanda in continua ascesa che va comunque rapportata al
consumo della carta in quell'epoca, uso e fabbisogno che aumentano con
l'invenzione della stampa dopo la metà del XV secolo.
Il dominio sul mercato cartario, mantenuto incontrastato da Fabriano per
oltre due secoli, è certamente dovuto non solo al fatto di essere
l'unico centro europeo che riesce a produrre notevoli quantitativi di
carta a ritmo continuo e quindi a soddisfare in tempi accettabili tutte
le richieste, ma soprattutto ai mai non troppo decantati pregi, ovunque
riconosciuti, di questa Arte; due fattori importantissimi che fanno
superare le difficoltà dovute alla lontananza di questo Comune montano
della Marca dalle grandi vie commerciali e di comunicazione, lontananza
che crea disagi per il trasporto il cui costo incide sui prezzi della
carta.
La fitta rete dei commerci, estesa anche in lontane regioni dai mercanti
fabrianesei contribuisce con efficacia alla crescita economica dell'Arte
cartaria che sin dai primi tempi della sua attività, si sostiene
lavorando quasi esclusivamente per l'esportazione del prodotto sulla
base delle commesse sicure che garantiscono la continuità
dell'occupazione per gli addetti al settore e la crescita di benessere
per l'intera comunità fabrianese. Garanzia di occupazione e fruttuoso
investimento di capitali sono infatti confermati dal fiorire delle
numerose piccole cartiere delle quali alla fine del Trecento - secondo
alcuni memorialisti - sono 40 ad essere in piena efficienza, formando un
consistente complesso manifatturiero, noto, per dimensione e produzione,
in tutto il bacino del Mediterraneo e nei paesi dell'Europa occidentale.
A questo punto è opportuno ribadire, sulla base di recenti studi
storici, che Fabriano entra di diritto e con titoli sufficienti in quel
gruppo di Comuni medioevali che, tra XIII e XIV secolo, hanno
contribuito alla espansione della economia italiana e al suo primato
nell'Europa occidentale. Fabriano, città della Marca, potente repubblica
appenninica, raggiunge il suo massimo splendore con l'avvento delle Arti
al potere del Comune - splendore consolidatosi poi sotto la Signoria dei
Chiavelli - ma esce da rigido schematismo dell'ordinamento corporativo e
non si chiude nella mediocre ristrettezza di una economia per il solo
consumo diretto dei produttori, grazie alle strutture organizzative e
manifatturiere create dai suoi maestri artigiani e all'intraprendenza
manageriale dei suoi mercanti di carta. Sono cartai e mercanti, uniti e
operanti in una Universitas che segnano i lineamenti del
protocapitalismo e i prodromi dell'associazionismo operaio locale nel
tardo Medioevo. Sono questi i veri protagonisti dell'economia fabrianese
in espansione grazie ad un settore trainante che, nel lungo periodo
segnato dai secoli XIV e XV contribuisce in modo determinante e
irripetibile, a dare a Fabriano per fama e ricchezza una dimensione
internazionale ed Europea.
Al di là di queste considerazioni, che sottolineano il già più volte
ripetuto senso del rammarico condensato in quel Olim cartam undique
fudit, frase dettata forse per rimpiangere per rimpiangere i fasti
del passato, si può concludere osservando che , se l'inizio della
lavorazione della carta a Fabriano - cioè i tempi delle origini -
rimangono oscuri o per lo meno non storicamente accettabili, come, del
resto, lo è la nascita della corporazione, ben evidente invece e
sufficientemente dimostrato, sulla scorta di un prezioso materiale
documentario, resta la floridezza e la potenza, fra Tre e Quattrocento,
di questo centro marchigiano, unico in Europa e nel bacino del
Mediterraneo a produrre e ad esportare in quell'epoca carta bambagina di
pregevole fattura in quantità ragguardevole; il solo ad avere artigiani
ricercati per la loro capacià e maestria nel fabbricare carta; il solo,
sempre nel periodo indicato, a raggiungere livelli qualitativi di
produzione pari alla notorietà e alla fama conquistate e gradualmente
diffuse ovunque.
Cartam undique fudit è la dichiarazione ufficiale, impressa nel
cartiglio dello stemma comunale, con cui Fabriano tradizionalmente si
presenta come una grande protagonista della storia della carta - storia
scandita per secoli dalla sua antica corporazione dei cartai - e come
uno dei principali punti di riferimento europei per un'antica Arte
giunta dall'Oriente, ma perfezionatasi nelle Marche con l'ingegno, la
tecnica e la cultura degli italiani.
|
Primi "segni"
in filigrana a Fabriano
Fabriano,
museo della carta e della
filigrana.
Il fabbro, stemma del comune,
realizzato in filigrana.
Statuto
dell'Arte della Lana (1369)
- Fabriano.
Arch. Storico Com.le -
- ingrandisci
-
Marche di
fabbrica di lanaioli
fabrianesi
(1559)
- Fabriano.
Arch. Storico Com.le -
- ingrandisci -
Spedizioni di balle di carta
a
Talamone
(1365)
- Fabriano.
Arch. Storico Com.le -
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- tratto da G.Castagnari
(a cura di), Miscellanea di Storia della
Carta, Fabriano 1991 con licenza
dell'autore -
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