Il viaggio storico della
carta
Una delle prime descrizioni
in lingua italiana sull’abilità dei Cinesi di fabbricare la carta è
fornita da Marco Polo in un passo del suo Milione. Il famoso viaggiatore
veneziano, fra le tante meraviglie e novità che l' avevano colpito
durante la sua lunga permanenza in Cina, ricorda le banconote cartacee
emesse e fatte circolare in tutto l’Impero per volontà di Kubilay Khan
e, a questo proposito, narra che l'imperatore “fa prendere scorza d’un
albore ch' à nome gelso – è l’albore le cui foglie mangiano lì vermi che
fanno la seta – e coliono la buccia sottile che è tra la buccia grossa e
legno dentro, e di quella buccia fa fare carta come di bambagia “. |
La "via della
carta" - ingrandisci
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Molto sinteticamente Marco Polo accenna alla materia con cui viene
fabbricata la carta valori riferendosi alla particolare qualità di fibra
vegetale impiegata in quei tempi, senz'altro più pregiata e selezionata
rispetto ad altre già in uso presso i Cinesi fin dal 105 d.c., epoca in
cui, secondo la maggior parte delle fonti storiografiche, Ts'ai Lun,
ministro dell’ imperatore Ho-ti, riesce a fabbricare carta da diversi
vegetali: paglia di tè o di riso, canna di bambù e stracci di
canapa, lasciati marcire e poi battuti a lungo in mortai di
pietra con pestelli di legno per ottenere la pasta da cui
ricavare i fogli. |
Si narra che gli
imperatori cinesi abbiano mantenuto per lungo tempo gelosamente segrete
queste tecniche di lavorazione, le quali soltanto nel VII secolo si
diffondono prima in Corea, poi in Giappone e infine nel secolo
successivo, vengono praticate anche nell’Asia centrale, a Samarcanda,
dove si vuole che gli Arabi le apprendano dagli stessi Cinesi per
introdurle nei paesi del Medio Oriente e dell'area mediterranea.
Gli Arabi a loro volta introducono alcune innovazioni: utilizzo della
materia prima quasi esclusivamente gli stracci di canapa e di lino che
ricavano anche dalle bende delle mummie rinvenute nelle tombe egiziane;
la forma per lavorare il foglio è uguale a quella inventata dai Cinesi,
costituita da un fitto graticcio sul quale si fissano le fibre dopo il
filtraggio dell' acqua. |
La cartiera "cinese" -
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Diverso
invece è il sistema di collaggio; alla gomma derivata da particolari
specie di licheni adoperata in Cina, è sostituita la colla di amido
ricavata da riso e da grano. Questo procedimento rende la carta
deteriorabile in quanto offre un terreno favorevole allo sviluppo dei
microrganismi. |
Fabriano, statuto chiavellesco, 1415 (libro II,
45-49)
per molti anni i documenti importanti continuano
ad essere redatti in pergamena.
(foto B. Zenobi) -
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Si spiegano così i divieti emanati agli inizi del Duecento dalla città
di Padova, da Federico II nel 1231 e da altre autorità, di usare la
carta bambagina per gli atti pubblici che devono continuare ad essere in
pergamena.
Il fiorente sviluppo dell' arte cartaria a Bagdad e a Damasco
consente di ricostruire l'itinerario spaziale e temporale
suddiviso in tre distinti periodi o cicli: arabo, arabo-italico,
fabrianese.
Il primo coincide con la fabbricazione della carta eseguita con
tecniche e sistemi strettamente arabi applicati nel vicino
Oriente, in Egitto, nel Marocco e quindi in Spagna nella
cartiera di Xativa (oggi San Felipe, in provincia di Valenza),
menzionata dal califfo Edrissi come esistente nel 1173.
Del secondo periodo si ha una conoscenza limitata ed incerta. E'
questo in effetti un periodo di passaggio che non consente di
stabilire come, dove, quando e da chi è introdotta l’arte della
carta in Italia. |
E' un passaggio tuttavia avvenuto
gradualmente con la sperimentazione di nuove tecniche e
l’impiego di mezzi e di materiali nuovi non usati dagli arabi,
secondo le diverse e variabili risorse locali e le capacità
creative e culturali dell’artigiano indigeno. |
Una fase lunga, dai contorni confusi, che si
protrae fino alla seconda metà del XIII secolo, epoca in cui la
lavorazione della carta bambagina fiorisce a Fabriano,
nell’entroterra marchigiano, dove compie quel salto di qualità
fino allora mai raggiunto, consentendo a questo comune di
imporsi all’attenzione dei mercati italiani ed europei e
divenire uno dei primi e maggiori centri della nostra penisola,
prerogativa che riuscirà a mantenere ininterrottamente per oltre
due secoli. L' ultimo periodo, quello fabrianese, riguarda –
dunque – esclusivamente la carta lavorata a Fabriano, dove
appunto quest'arte è rinnovata e perfezionata fino a raggiungere
la struttura definitiva. Si può quindi ritenere che il terzo ed
ultimo ciclo sia un punto di arrivo, anche se la ricorrente
domanda che si formula per sapere in quale epoca l’arte della
lavorazione della carta sia giunta a Fabriano rimane senza
risposta. |
La cartiera "fabrianese" -
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Gli
storici generalmente sono propensi a ritenere che la carta sia
penetrata attraverso Ancona e che i fabrianesi abbiano imparato
a lavorarla dagli Arabi fatti prigionieri in uno dei frequenti
assalti contro la città dorica dopo l’XI secolo e per motivi di
sicurezza internati nell' alta valle dell’Esino |
Fabriano, Sant'Antonio fuori le mura
(dettaglio portale) |
Altra suggestiva ipotesi è quella che
attribuisce ai cavalieri del TAU, ordine misteriosamente
collegato ai Templari, la divulgazioni dei segreti di produrre
carta appresi nel Medio Oriente durante le prime crociate. A
sostegno di questa presenza a Fabriano rimane S. Antonio fuori
le mura il portale a sesto acuto a pietra bianca lavorata il cui
concio in chiave color paglierino conserva tutt'ora il TAU
simbolo dell' Ordine. Tuttavia, indipendentemente dalle dispute
dei tempi, sui luoghi e sui modi di apprendimento, è ormai certo
che sono gli Arabi i primitivi maestri dei cartai fabrianesi e
che il lino e la canapa sono le stesse materie prime usate nel
Medio Oriente, a Xativa e a Fabriano per fabbricare carta
bambagina. |
Le tecniche innovatrici introdotte e
perfezionate dai Fabrianesi influiscono in modo determinante
sulla resistenza al tempo e agli agenti patogeni e sulla qualità
della carta, che diviene gradatamente la materia scrittoria più
diffusa e più conveniente perché meno costosa della pergamena e
degli altri materiali usati prima della sua invenzione. Con la nuova tecnica dei caratteri mobili per la stampa la
carta, nella seconda metà del XV secolo, assume il ruolo di
strumento e di veicolo insostituibile per la diffusione della
cultura e della informazione, soppiantando definitivamente tutti
gli altri materiali sperimentati dall’uomo che, fin dai tempi
più antichi, per soddisfare il bisogno di comunicare anche con
la parola scritta (grafema), era passato dall’uso della roccia o
della pietra, su cui ha lasciato i primi segni tangibili della
civiltà preistorica, all’impiego delle tavolette di argilla, ai
cocci graffiati, alle tavolette di legno cerate, alle pelli di
animale, alle lamine d’oro, d’argento e di piombo, alle materie
più flessibili ricavate da alcuni vegetali.
E’ così che, nel III millennio a.C., in Egitto la pianta del
papiro, adeguatamente lavorata, si trasforma in materia
scrittoria destinata ad essere impiegata per lungo tempo dai
popoli del bacino del Mediterraneo. Oltre oceano a cominciare
dal III secolo a.C. i Maya usano per scrivere la parte interna
del fico selvatico trasformata in superficie liscia e bianca e
di questo vegetale continuano ancora a servirsi gli Aztechi fino
all’impatto con gli Spagnoli di Cortés.
In Oriente il papiro è sostituito dalla pergamena di pelle
animale, opportunamente conciata, che viene impiegata
largamente, dal II secolo a.C., prima dai Greci, poi dai Romani,
divenendo di uso comune soprattutto nel Medioevo fino a quando
la carta, grazie alle innovazioni apportate dai mastri cartai
fabrianesi, si afferma come l’unica materia a cui l’uomo affida
la parola scritta per comunicare e tramandare il suo pensiero e
le opere del suo ingegno. |
da "L'Arte della Carta a Fabriano" a cura di G.Castagnari
e U.Mannucci, Fabriano 1996
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