Simbolismo mitriaco nella Chiesa della Santa Croce
di Sassoferrato (1a parte)
di Lucia
Cucchi, Isabella Marinelli, Paolo Piergentili
L’Abbazia benedettina della Santa Croce nei pressi
di Sassoferrato, (Ancona), Marche, sarebbe sorta sopra un tempio,
dedicato al dio precristiano Mitra, costruito dagli abitanti di
Sentinum, nel III secolo d.C. È questa la tesi proposta da Camillo
Ramelli (1804 – 1855). Professore di filosofia e matematica, letterato,
filosofo, archeologo, si dedicò agli studi storici della zona di
Fabriano e Sassoferrato.
Nel 1853 pubblicò un opuscolo dal titolo “Monumenti
mitriaci di Sentino, antico municipio romano, dichiarati dal professore
Camillo Ramelli”, a seguito di importanti ritrovamenti, tra i quali,
una bellissima statua di Mitra.
Studiando i materiali con cui fu costruita la chiesa
abbaziale, l’archeologo giunse a questa conclusione: i monaci
riutilizzarono colonne, lapidi, capitelli, pietre e quant’altro, del
sottostante mitreo, “cristianizzando” poi, il simbolismo pagano dei
bassorilievi dei capitelli e del portale.
Il culto di Mitra ha origini Orientali; fu introdotto
nella Roma imperiale e si diffuse in quasi tutte le province. Monumenti
sono a Tivoli, Anzio, Napoli, Milano. Fu l’ultimo idolo ad essere
venerato nella Roma del III secolo. Considerata divinità del sole e
della luce, si festeggiava il 25 dicembre. Due sono le leggende sulla
sua nascita, accomunate da uno stesso fine cioè, sconfiggere il male
salvando così il genere umano. La prima lo vuole nato da una pietra
dalla quale sarebbe uscito armato di una daga e con una fiaccola in
mano; la seconda, parla invece di una vergine che partorì la divinità in
una grotta. Mitra viene raffigurato (vedi foto) nell’atto di sacrificare
un toro, la cui morte genera la vita e la fecondità dell’universo.
Simboleggia inoltre, la forza del Sole quando entra nel segno zodiacale
del Toro, il quale essendo pure il segno di Venere, mostra come l’astro
con la sua energia, rigeneri la natura. Altre elementi simbolici che lo
accompagnano sempre, nelle numerose raffigurazioni sono: il cane, il
serpente, lo scorpione, il corvo e le spighe del grano.
Il Cane, scrive Ramelli, “…si
lancia verso la ferita del toro protendendo quasi la sua lingua per
lambirla; nel mezzo sbuca dal suolo un Serpente che avvolgendosi
tortuoso si dirige al toro, uno Scorpione si volge pure ad esso in atto
di abbrancarne i testicoli con la sua forbice. Questi animali
sono simbolicamente riferiti a Mitra considerato nei
culti asiatici come il mediatore tra Ormuz (luce ) ed Ariman (tenebre ),
se vogliamo credere agli antichi miti, oppure secondo altri alle qualità
del Sole con le astronomiche cose rapportato. Così il Serpente non
velenoso rappresentava il Cneph ossia bontà celeste, espressa talvolta
pur da una serpe circolare che morde la propria coda, ed anche gli
egizi, i cui sacerdoti lo portavano attorcigliato intorno ai berretti,
raffiguravano in esso la forza ed il potere.”
Nell’iconografia la divinità è accompagnata da due
personaggi detti dadofori o portatori di fiaccole; l’una tenuta
alzata a rappresentare il ciclo solare (alba-tramonto) e il calore
luminoso della vita, l’altra, abbassata, il freddo gelido della morte;
Mitra e i dadofori si uniscono in un'unica divinità: il triplice
Mitra.
Dopo questa necessaria premessa, entriamo nella chiesa
insieme al prof. Ramelli che ci spiegherà le sue scoperte.
“Cominciando dal tempio, rammenterò che gli serve
d’ingresso un breve corridoio in cui vedasi frammenti di cornici in
travertino, l’una con belle foglie di palma, o meglio forse di loto,
pianta consacrata dagli Egiziani ai misteri di Iside, seguita da altra
con grazioso meandro, che termina con ovolini framezzo ai dentelli,
quali sogliono nei cornicioni di ordine Corinto.
La Porta è lateralmente costituta da due colonnette di
travertino. Li capitelli sono formati a destra da uno SPARVIERE
consacrato dagli Egiziani ad Osiride e da altri al Sole, che tiene fra
gli artigli una lepre
carissima a Venere, forse perché prolifica assai al dir di Plinio, e
simbolo quindi probabile della vittoria su di essa riportata da Mitra; a
sinistra poi da un’AQUILA, mito notissimo di Giove anche Serapide, dalla
quale si è già afferrato un braccio umano, a significar forse la
sottrazione da pericolo conseguita per Mitra da qualche iniziato: mentre
due LEONI si protendono da entrambi i lati fino agli spigoli, avvolgendo
le code loro in forma di tortuosi serpenti e perciò ben diversi da
quelli che nelle chiese cattoliche del medio evo solevano parimenti
trovarsi a simboleggiare il Lione di Giuda.
Gli adepti del culto di Mitra saliti ai massimi vertici
della gerarchia prendevano i nomi da animali sacri. E “Leone” era uno
dei Sette gradi supremi della società, precisamente il Quarto.
continua con la 2a
parte >>>
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